Politica industriale Very bella
Non “strategie” statali, ma meno tasse e burocrazia per le imprese
Quando si parla della necessità di fare una “politica industriale” per puntare sui “settori strategici” al fine di rendere “più attraente e competitivo” il nostro “sistema paese”, tutti sembrano essere d’accordo. Quando poi i propositi, i progetti, le strategie e le “sinergie” vengono tradotti in realtà, tutto cambia. E siccome le cose vanno giudicate dagli effetti più che dalle intenzioni, per capire cosa vuol dire “politica industriale” in Italia è il caso di partire da qualche esempio concreto. Non Alitalia, non Ilva, non Carbosulcis, ma un esempio piccolo: Verybello. Era il sito, dedicato ai turisti stranieri, voluto dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini per rilanciare il turismo (che è pur sempre “il nostro petrolio”). Usiamo l’imperfetto perché a distanza di un anno il progetto è naufragato, il sito è chiuso, il dominio è scaduto ed è stato subito occupato da una società che ne sfrutterà il nome. Si dirà che l’esperimento della promozione turistica statale è fallito perché si è investito poco, in fondo Verybello è costato solo qualche decina di migliaia di euro.
Ma non è così. Sia perché le altre campagne statali e regionali – ognuna con i suoi ambasciatori e tour in giro per il mondo – non hanno prodotto niente di meglio, sia perché prima di Verybello c’è stato un altro portale di promozione turistica, Italia.it, voluto dal governo di centrodestra (ministro Michela Brambilla), che è stato un analogo flop costato 9 milioni di euro. A questo punto si potrebbe provare a fare un’altra politica industriale, mai fatta finora, che consiste nel tagliare le spese, le tasse e la burocrazia per lasciare imprese e cittadini più liberi di investire, assumere e produrre ricchezza. Sarebbe molto beautiful.