Milano, la sede di Unicredit (foto di Gaetano Virgallito via Flickr)

Buone notizie da Unicredit

Redazione

L’aumento di capitale indica una via d’uscita alle banche italiane

Ci sono ottime ragioni per rallegrarsi del successo dell’aumento di capitale da 13 miliardi di Unicredit, il maggiore in Italia e quarto d’Europa, opera dell’ad Jean Pierre Mustier. Il supporto delle 20 banche collocatrici è stato imponente, come la parcella da 320 milioni; ma vista la situazione non tutti scommettevano sul risultato. Dopo ben tre ricapitalizzazioni dal 2008, questa si accompagna a un drastico piano industriale con tagli ai costi, riduzione degli 80 miliardi di crediti deteriorati e la dismissione di Pioneer, società del risparmio gestito. Ma se il fallimento dell’operazione sarebbe stato un dramma anche per le casse pubbliche già al capezzale di Mps e delle popolari venete, è presto per considerare in via di risoluzione i problemi del sistema del credito. Che solo in minima parte dipendono dalle direttive europee, alibi dei banchieri e anche della Banca d’Italia. Nella zona euro i nostri istituti sono terzultimi per redditività, davanti solo a greci e portoghesi. La causa è nella dissennata espansione di sportelli e personale ancora in piena crisi mondiale, mentre America ed Europa li riducevano: uno studio del 2015 rivela che le prime tre banche italiane (Intesa, Unicredit e Mps) hanno più agenzie della somma di ristoranti, farmacie, scuole elementari, medie e superiori. Nessuna azienda manifatturiera è guidata con questi criteri: non c’è bisogno di evocare Marchionne, bastano nomi come Del Vecchio, Barilla, Ferrero, per limitarci ai top. A monte c’è il ruolo clientelare delle fondazioni “del territorio”, così come la scarsa vigilanza istituzionale sui piani industriali. L’aumento di Unicredit accresce il peso dei fondi stranieri e riduce quello delle fondazioni: speriamo sia l’inizio.

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