L'Italia e il termometro dell'inflazione
I prezzi che salgono mettono a nudo i limiti delle agende politiche
In Italia l’inflazione è in netta risalita anche a febbraio, dello 0,3 per cento nel mese e dell’1,5 in un anno. E’ l’aumento più alto da marzo 2013, che porta l’inflazione già acquisita nel 2017 all’uno per cento. Resta alta la componente dell’energia ma a svegliarsi (più 8,8) è il cosiddetto carrello della spesa, i beni non voluttuari, quelli alimentari. L’Italia tende ad allinearsi alla media dell’Eurozona che ha un’inflazione oramai vicina all’obiettivo del 2 per cento della Banca centrale europea per chiudere a fine dicembre con il denaro facile e i tassi sottozero, come rivelato dal Foglio – e già da aprile gli acquisti di titoli si ridurranno da 80 a 60 miliardi al mese. E’ l’inizio del cosiddetto “tapering”, un calo graduale. Fino a pochi mesi fa la preoccupazione collettiva era la “deflazione”. Ora è, si passi il termine, il suo opposto e le reazioni all’inflazione portano acqua ai loro autori: la Cgil chiede “un’adeguata politica salariale”, la Confcommercio si lamenta del potere d’acquisto, le associazioni dei consumatori sfornano calcoli al centesimo su quanto spenderà ogni famiglia.
Nessuno centra i due problemi veri. Primo: l’inflazione fa bene se accompagnata a una convincente crescita economica. Invece siamo all’1 per cento, ben al di sotto della metà della media europea (1,7). E questo dipende da una produttività che tra il 1995 e il 2015 è aumentata al tasso medio annuo di tre decimali, un quinto dell’Ue; mentre si sono fermati gli investimenti pubblici ma non la spesa dello stato. Anche la pur valida manifattura perde posizioni, 4 punti di pil, al contrario che in Germania. Il secondo problema è che l’avvicinarsi del tapering, i rialzi dei tassi che Mario Draghi potrebbe annunciare già in autunno, rende necessari un aggiustamento di bilancio e una successiva manovra centrata non sull’assistenzialismo ma sul recupero di riforme vere: produttività, concorrenza, privatizzazioni, tagli degli sprechi fiscali a beneficio della riduzione delle aliquote su persone e imprese. Invece: si parla di un reddito di cittadinanza che in queste forme non esiste altrove, di uscita dall’euro che renderebbe automatico il default, l’arrivo del Fondo monetario internazionale e la perdita di sovranità evocata proprio dai sovranisti; di doppia valuta, ricetta post peronista dell’Argentina di Kirchner finita in un bagno di sangue. Il risveglio rischia di essere brusco, ma non al supermercato.