Meno bonus per meno tasse
La formula “80 euro” mostra diverse criticità, meglio tagliare l’Irpef
Tempo di bilanci per il “Bonus 80 euro” del governo Renzi, dopo che il Tesoro ha diffuso i dati sulle dichiarazioni fiscali del 2015: oltre 1,7 milioni di soggetti hanno dovuto restituire integralmente o parzialmente il bonus, perché hanno guadagnato più della soglia massima di 26 mila euro l’anno o meno di quella minima di 8 mila. La notizia ha moltiplicato i commenti al provvedimento che ha coinvolto oltre 11 milioni di cittadini per un ammontare di 9 miliardi di euro e che, a seconda dei fronti contrapposti, è stato definito “la più grande mancia elettorale” o “la più grande opera di redistribuzione salariale mai fatta in Italia” (Renzi dixit). È indubbio che una larga fascia della popolazione (1 contribuente su 4) ha beneficiato di un bonus consistente e strutturale, ma a distanza di tre anni dall’applicazione è doveroso riconsiderare gli aspetti del provvedimento che non convincono. Innanzitutto c’è da superare la restituzione del bonus, non tanto per chi ha guadagnato più del previsto (buon per loro), ma per chi ha guadagnato troppo poco, ovvero gli incapienti. Sarebbe inoltre da superare la discriminazione nei confronti degli autonomi, che a differenza dei lavoratori dipendenti non hanno diritto al bonus. Da qui emerge chiaramente che il “bonus 80 euro”, come ha sempre detto la Commissione europea, non è un taglio delle tasse ma spesa pubblica discrezionale e ora lo ammette lo stesso Renzi parlando di “redistribuzione salariale”. Questa considerazione porta alla soluzione, che è un superamento degli “80 euro”: trasformare i 9 miliardi del bonus, pari al 5 per cento del gettito Irpef, in un taglio universale e non discriminatorio delle aliquote.