Le previsioni sballate sul petrolio
Il trend al rialzo smentisce ancora una volta i catastrofisti
Lo hanno dato per insostenibile ogni volta, l’ultima nel 2012, che il suo prezzo ha superato i 100 dollari al barile, e molti invocavano la rapida conversione mondiale alle energie alternative. Del petrolio è stata profetizzata l’irrilevanza economica e strategica quattro anni dopo, quando è sceso sotto i 30, con previsione di dissesti per paesi, raffinerie, trivellazioni, aziende americane che si erano buttate sullo shale oil, l’estrazione dalla frantumazione delle rocce. Perfino ora che oscilla sopra e sotto i 50 dollari, in un trend comunque rialzista, ed è tornato arbitro dei mercati – nell’ultimo numero di Oil Magazine, in edicola dal 14 marzo con il Foglio, è pubblicato un focus che fa chiarezza sull’andamento dei prezzi in questo settore. Nel frattempo lo shale oil non si è rivelato né un fallimento né un disastro ecologico, come tanti avevano profetizzato. Negli anni di magra le imprese si sono consolidate con selezioni ed economie di scala: il margine di guadagno era a 60 dollari, ora siamo quasi a 40. Gli Stati Uniti mantengono l’autosufficienza energetica spostando il baricentro dell’offerta, un’alternativa per tutto l’occidente. In definitiva il petrolio continua a smentire tutti i suoi detrattori, come del resto fa da oltre 50 anni, cioè da quando si previde l’imminente esaurimento delle scorte, che hanno raggiunto negli Stati Uniti il record di 530 milioni di barili. E vasti giacimenti in America meridionale, a cominciare dal Venezuela, restano quasi da esplorare. Di nuovo c’è che oggi è impossibile fissare un prezzo di riferimento – cioè di cartello – il che è indice di vitalità; anche se scombussola i teorici delle previsioni infondate.