It's not the economy, stupid! It's politics

Redazione

Con la fine della crisi, l’economia globale torna a dipendere dalla politica

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) pubblicherà oggi uno dei suoi periodici rapporti sulla salute dell’economia globale, in vista degli spring meetings del fine settimana. Ne ha implicitamente anticipato il contenuto il direttore generale Christine Lagarde dichiarando che “dopo sei anni di crescita deludente, l’economia mondiale sta riprendendo slancio”. In sintesi: la crisi è finita, andate in pace… ma non così in fretta. Le istituzioni internazionali vanno ripetendo da mesi che l’economia globale non è più convalescente, ma che il virus dell’antipolitica potrebbe scatenare una ricaduta da cui difficilmente riuscirebbe a riprendersi in tempi brevi. L’Economist, a marzo, fece una copertina dal titolo “On the up”, “in crescita”, salvo specificare nell’editoriale d’apertura che le politiche protezionistiche, oggi tanto invocate, e il rallentamento delle riforme pro mercato dovrebbero far riflettere. Ieri il Financial Times ha ripreso questo tema, rendendo noto che anche il suo nuovo indice Tiger (acronimo che sta per Tracking Indexes for the Global Economic Recovery), realizzato con il think tank americano Brookings Institution, conferma la ripresa mondiale. Ma aggiunge che la minaccia alla stabilità è tutta politica. Da Trump a Le Pen, gli investitori sono più attenti a misurare il rischio politico che a valutare i reali progressi dell’economia. Al punto che i tempi in cui i banchieri centrali erano considerati infallibili oracoli di verità dai mercati “sono agli sgoccioli”, come ha detto Mark Carney, il capo della prestigiosa Bank of England. Ora tocca ai politici giocare la partita e non far deragliare la ripresa: la produttività, in occidente, è debole e dipende essenzialmente dall’agenda di riforme dei prossimi anni. Cesare, alla fine, si è ripreso quel che era di Cesare. Ad maiora.

Di più su questi argomenti: