Striscione No Tap esposto dalla curva del Lecce (foto LaPresse)

L'eterno ritorno delle lobby della paralisi

Redazione

La somiglianza di metodi, ideologia e fallimenti di No Tav e No Tap

Ventidue anni fa, il 2 marzo 1995, si tenne a Sant’Ambrogio di Torino la prima grande manifestazione No Tav, la ferrovia ad alta velocità destinata a collegare Lione al capoluogo piemontese, e da lì fino a Trieste. Ora che l’infrastruttura è in costruzione il movimento si dedica ad altro: rivolte di piazza in Italia e in formato export, spesso assieme ai Black bloc; nel 2013 e 2015 devastando il centro di Roma, nel 2015 Milano. Tutti prendono ritualmente le distanze dai “violenti”, spesso indicati come infiltrati o al soldo di qualche Spectre delle multinazionali; argomenti ripresi dai talk-show dove le proteste sono immancabilmente “pacifiche e colorate”.

 

È utile ricordare quell’antefatto ora che i No Tap bloccano le strade in Puglia e lanciano sassi alle guardie giurate contro l’espianto degli ultimi ulivi nel cantiere di approdo della Trans Adriatic Pipeline (Tap) che porterà gas dal mar Caspio all’Europa. Su 870 chilometri, il tubo ne percorre in Italia solo 8, e ha ottenuto tutti i nulla osta ambientali, ha superato i ricorsi al Consiglio di stato e da ultimo al famoso Tar del Lazio. Ma i No Tap non si danno per vinti spalleggiati dal governatore pugliese Michele Emiliano, un magistrato candidato alla guida del Pd (con scarse speranze di successo).

 

Nel frattempo l’alta velocità ferroviaria funziona egregiamente nel centro-nord e al sud fino a Napoli e Salerno; in quel settore l’Italia è entrata tra i primi sette paesi del mondo, mentre le Fs e i concorrenti esteri contano di trasferire su binario in 12 anni un terzo delle merci che oggi viaggiano su gomma, con minori costi e inquinamento. Dunque il cosiddetto presupposto scientifico dei No Tav, la non economicità dell’opera era sbagliato, anzi ingannevole, per non parlare delle inesistenti devastazioni ambientali. Era già accaduto per la variante ferroviaria e autostradale degli Appennini (risolta con elargizioni pubbliche a Emilia Romagna e Toscana), accadrà per la Tap. Un’altra colossale “fake news” insomma, che però piace ai talk in declino e ai politici che vogliono introdurre nel codice degli appalti il “débat public” tipo Francia (dove però le infrastrutture poi si realizzano). Magari sarebbe bello, se non se ne impadronissero i cultori e i violenti del No a prescindere, e i populisti-peronisti della decrescita nazionale.

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