I lavoratori scelgono di lasciare a terra Alitalia
Arrivano i primi dati sul referendum tra i dipendenti della compagnia sul piano di salvataggio: a Milano vincono i No. E ora si rischia il fallimento
La scelta era chiara fin da venerdì. Da un lato la possibilità di provare a salvare Alitalia attraverso il piano proposto dall'azienda su cui i sindacati avevano trovato un pre-accordo e che prevede esuberi e tagli di stipendi. Dall'altro il baratro, un probabile commissariamento e un futuro senza alcuna certezza.
La scelta era chiara: o sì o no. Tertium non datur. E ora che i seggi del referendum indetto tra i lavoratori della compagnia aerea sono chiusi, la paura che prevalga il no è più che concreta. Secondo i primi dati definitivi, infatti, i contrari al pre-accordo hanno prevalso a Linate (698 no e 153 sì) e a Malpensa (238 no e 39 sì). Vittoria per i sì a Torino dove, però, i votanti erano solo una ventina. Certo, si tratta di un primo segnale. A Milano il dato era previsto dato che a votare erano soprattutto le categorie, piloti e hostess, che con il piano vedrebbero i loro stipendi decurtati dell'8%. Ma i dipendenti chiamati alle urne sono circa 12 mila. Mancano all'appello i seggi di Roma e all'estero. E l'affluenza sarebbe intorno all'87%. Detto questo le speranze che il sì possa prevalere, adesso, sembrano veramente poche.
Non a caso, proprio mentre iniziava lo spoglio, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha convocato e presieduto una riunione su Alitalia a Palazzo Chigi con il ministro dei Trasporti Graziano Delrio e quello dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.
Era stato proprio quest'ultimo, in un'intervista al Messaggero rilasciata prima del voto, a spiegare che non esiste alcuna possibilità di interventi statali a sostegno della compagnia: “Per Alitalia questa è davvero l'ultima chiamata”. Dopotutto, secondo Mediobanca, la società è costata agli italiani 7,4 miliardi dal 1975 al 2014, 185 milioni di euro l’anno, senza praticamente mai ritorni di utili e relative imposte. Non solo, secondo l’Inps, il “Fondo volo” di piloti e personale, prontamente ribattezzato “Fondo di solidarietà”, grava sulla fiscalità generale per il 95 per cento, pagato in gran parte da una tassa di tre euro a biglietto per chiunque transiti in un aeroporto nazionale, anche, poniamo, viaggiando con Ryanair. Insomma, vincesse il No, stavolta non si può fare altro che dire basta.