Mano invisibile, sigaretta profittevole
Le si fa guerra da anni ma l’industria del tabacco va alla grande
I grafici sull’industria del tabacco riportati domenica dal Wall Street Journal sono un trionfo di simmetria. La convessità disegnata dalla retta dei fumatori che scendono e da quella dei profitti che salgono è un piccolo capolavoro di estetica del mercato. Là dove la mano pesante della politica pone un problema, quella invisibile dell’economia trova una soluzione. Il segreto, in questo caso, sta nei prezzi a pacchetto: mai stati così alti. Il consolidamento delle aziende del settore, l’efficientamento delle risorse e il drastico taglio dei costi, negli ultimi anni, hanno fatto sì che nel 2016 gli americani spendessero più in sigarette che in birra e bevande gassate messe insieme. Fino a vent’anni fa uno scenario simile sembrava impensabile: sempre più anziani smettevano di fumare e sempre meno giovani cominciavano.
I governi erano in guerra aperta con il settore, con fior di cause a pioggia sulle multinazionali del tabacco e altrettante bancarotte. I produttori di sigarette, a quel punto, hanno capito che per far fronte alla caduta in picchiata delle vendite (-37 per cento tra il 2001 e il 2016) dovevano e potevano permettersi di aumentare i prezzi per compensare i fatturati in declino (risaliti poi del 32 per cento, dati dell’ultimo anno). Oggi le multinazionali americane del tabacco fanno più profitti di qualunque altra concorrente nel mondo libero. L’aumento dei prezzi a sigaretta è stato quasi interamente caricato sui portafogli dei fumatori, così che questi, mano a mano, si stanno riducendo a un nutrito drappello di “irriducibili”. Contemporaneamente, quasi per magia, i profitti dell’industria del tabacco continuano a crescere. Il mercato trova sempre una via per aggirare gli ostacoli dello stato.