Il "ponte" rende più produttivi
In Germania si applica già il modello Google: qualità, non quantità
C’è l’antico approccio calvinista – rigore, costanza, duro lavoro e poca vacanza – e poi c’è il più controverso approccio Google – relax, clima aziendale sereno, frullati di verdura, pochi giorni lavorativi ma intensi e produttivi. In Europa, dove la vecchia scuola si preferisce sempre alla nuova, il primo approccio è considerato alla base del successo economico germano-scandinavo. Il secondo, invece, andrà pur per la maggiore nella Silicon Valley dei nuovi tecno-yuppies, ma da noi non può funzionare. Questo è ciò che si crede. Secondo molti, invece, funziona già. Enrico Marro, ieri, sul Corriere della Sera s’interrogava se questo 2017 ricco di ponti e giorni festivi non possa essere dannoso per la flebile produttività industriale italiana, che il Def da poco approvato dal governo prevede in crescita dell’1,1 per cento. Eppure dati Ocse alla mano, udite udite, in Europa il paese in cui si lavora di meno è la Germania, con tassi di produttività da record. Seguono Olanda, Norvegia e Danimarca. Grecia e Italia hanno il maggior numero di ore lavorate dell’Ue. E la produttività più bassa. Un recente esperimento del governo svedese, che per un anno ha ridotto l’orario di lavoro a 68 infermiere in una casa di riposo, ha dimostrato che lavorare di meno riduce lo stress, aumentando di converso la concentrazione e la produttività del lavoratore, dunque delle aziende. In generale, secondo uno studio dell’Università di Stanford, la correlazione tra produttività e lunghezza dell’orario di lavoro sarebbe piuttosto debole. La pensa così anche Andrea Goldstein di Nomisma. Parlando col Foglio dice che è una questione qualitativa, prima che quantitativa. Ma non si biasimino i “ponti” se l’Italia cresce poco: sono tutte scuse.