Mario Draghi (foto LaPresse)

Benvenuta inflazione

Redazione

Perché i germogli di crescita costringono Draghi a ripensare il QE

L’indice dei prezzi al consumo di aprile aumenta di 0,3 punti rispetto a marzo e dell’1,8 per cento nel suo complesso rispetto all’aprile del 2016. Ma gli 0,3 punti in più rispetto al marzo sono dovuti interamente al rialzo del prezzo dei beni e servizi energetici, che riflette, con certo ritardo, quello all’origine degli alimentari e dei trasporti influenzati dal fattore transitorio delle festività. L’inflazione di fondo che riguarda i prezzi al netto di energetici e alimentari freschi sale solo dell’1 per cento rispetto all’aprile del 2016. Depurata dei soli energetici dell’1,2. Questi tre dati chiave. Il primo che esprime l’andamento economico effettivo, reale e monetario, indica che l’economia italiana è in ripresa e che è finita la fase di deflazione esogena, dovuta al ribasso dei prezzi dell’energia che aveva depresso l’indice generale dei prezzi.

 

E’ probabile che l’aumento differenziale di 0,2 punti dell’indice inclusivo di alimentari freschi implichi la maggiore domanda in Italia e in Europa, dovuta alla crescita del pil. La “riflazione” è effetto del fatto che il minor costo dell’energia si è consolidato, trovando un nuovo equilibrio. Ma è anche effetto della ripresa economica, più consistente nel resto d’Europa, ma in atto anche in Italia, come dimostra l’aumento minore del prezzo dei beni rispetto a quello dei servizi che risente della variazione di domanda. Il tasso di inflazione che si delinea su base annua, dello 1,5-1,7 per cento rende più facile l’aggiustamento dei conti pubblici, in rapporto al pil perché a questo fine non conta solo l’aumento del pil reale. Conta altrettanto e ancor più la crescita del pil puramente monetario. Per un paese con debito/pil del 132 per cento circa un’inflazione che fa lievitare il pil dello 1,5 (in aggiunta alla crescita reale dell’1 per cento circa) comporta un’automatica riduzione del rapporto debito/pil del 2 per cento (a cui si aggiunge quella dovuta all’aumento del pil reale). Ci si potrebbe preoccupare del fatto che l’inflazione attorno allo 1,5 per cento in Italia e in Europa induca il direttorio della Banca centrale europea a far cessare la politica monetaria espansiva (e le pressioni su Draghi aumenteranno). Ma la Bce per valutare l’effetto della politica monetaria considera solo l’inflazione di fondo, che è bassa. E su questo punto, la politica monetaria espansiva non ha ancora determinato tutti gli effetti desiderati.

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