Il rischio di affondare tra banche e lamenti
L’Europa riparte, il Qe chiude, il debito decolla. Pochi mesi per dare un segnale
Quanto tempo ha il paese per segnalare ai suoi partner che c’è, è vivo e lotta insieme a loro per l’Europa? Sei mesi? Un anno? Dalla sconfitta del referendum costituzionale il 4 dicembre gli investitori internazionali hanno acceso potenti riflettori sull’Italia, ma dopo lo scampato pericolo di una rottura dell’euro grazie alla vittoria di Macron in Francia la luce delle fotoelettriche si è fatta ancora più intensa. Le cancellerie europee e i mercati osservano sbigottiti il dibattito surreale e lontano dai temi concreti in cui è immersa la politica nazionale. Intanto, mentre l’economia europea va, in Italia si cumulano segnali di instabilità finanziaria che rischiano di trovare il loro punto di caduta il prossimo autunno, quando dopo le elezioni tedesche verranno al pettine molti nodi politici ed economici in Europa. Il nuovo intoppo nelle trattative con Bruxelles per salvare le banche venete (la soluzione per Monte dei Paschi sembra ormai vicina per ammissione dello stesso commissario Antitrust europeo, Margrethe Vestager) e la prospettiva di una loro “risoluzione” sono solo gli ultimi sintomi di una situazione finanziaria in deterioramento, alla quale l’incertezza politica non è certo estranea. Nelle ultime settimane due agenzie di rating hanno degradato il debito della Repubblica che non ha più una A nel suo rating ed è a un passo dalla qualificazione di junk bond, ovvero di titoli spazzatura. Il così detto saldo Target 2 che misura la posizione debitoria della Banca d’Italia verso l’Eurosistema ha raggiunto quota 420 miliardi a causa dei flussi di capitale che lasciano l’Italia per prendere la via di Francoforte o del Lussemburgo. Finora il sistema ha retto grazie al Quantitative easing (Qe), il programma di acquisto di titoli pubblici e bancari della Banca centrale europea (Bce). Ma anche questo sostegno, che ha permesso di ridurre di oltre 20 miliardi annui (in pratica una manovra finanziaria) l’onere del debito per interessi, sta arrivando al capolinea. Secondo una dichiarazione riportata dal Daily Telegraph dell’ex capo delle operazioni della Bce, Francesco Papadia, a settembre Mario Draghi annuncerà l’uscita dal programma di acquisti a partire dal gennaio successivo. E la stessa Bce nell’ultimo Financial stability report parla del rischio che i rendimenti dei bond “aumentino di colpo” nell’Eurozona con un possibile “effetto valanga” in Italia e Portogallo. La reazione di Roma al nuovo stop di Bruxelles sulle banche è stata un déjà vu. I banchieri invitano il ministro Padoan e il premier Gentiloni a “farsi rispettare” in Europa. I politici parlano di complotto contro l’Italia, alla quale “si vuole dare una lezione sulle banche”. Ma non è così che si consolida la fiducia degli investitori internazionali nel paese e nel suo sistema bancario. Dopo le elezioni tedesche di fine settembre e la probabile vittoria della Cdu di Angela Merkel si rimetterà in moto l’asse Parigi-Berlino per il rilancio del progetto europeo con chi ci sta. E Mario Draghi, tranquillizzato dai nuovi equilibri europei, potrà annunciare la fine del Quantitative easing. A quell’appuntamento l’Italia dovrà andare preparata, con questo o con un nuovo governo dopo elezioni, potendo esibire l’avvio di alcune iniziative, sul fronte del debito e della crescita, che mettano in sicurezza la sua economia e le consentano di reggere l’urto della fine del Qe. La finestra temporale che si apre è stretta, sei-nove mesi al massimo. Ma come si suol dire il tempo è qui e ora.