Dov'è che l'economia non è ancora in salute
Dati positivi, ma restano i problemi: produttività e demografia (non l’euro)
L’Istat ha comunicato la revisione al rialzo della crescita del pil nel primo trimestre 2017: lo 0,4 per cento sul trimestre precedente rispetto alla stima preliminare dello 0,2; mentre per l’andamento tendenziale sullo stesso periodo del 2016 l’incremento è dell’1,2 per cento, il migliore da fine 2010. L’istituto aggiorna anche la previsione per il 2017 all’1 per cento, con variazione già acquisita dello 0,9. Ma non è il caso di stappare champagne: siamo ancora al di sotto della crescita media dell’Eurozona (0,5 per cento nel primo trimestre e 1,7 tendenziale), mentre guardando alla manovra 2018 il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan chiede a Bruxelles una riduzione del disavanzo di mezzo punto di pil (dallo 0,8 per cento allo 0,3).
La Germania, secondo fonti ufficiose, vuol chiedere all’Italia un impegno per lo 0,6 per cento: nulla di nuovo, siamo alle battute iniziali. Il vero succo del problema è un altro, racchiuso in due tabelle della Banca d’Italia e del centro studi Promotor su dati Eurostat. Cominciamo da queste: nel 2001, anno precedente l’introduzione dell’euro, il pil pro-capite italiano superava la media europea del 18,8 per cento. Nel 2016 era sotto del 3,72 per cento. Assieme alla Grecia, l’Italia è il solo paese ad avere un reddito per individuo in discesa rispetto all’èra delle vecchie monete: sembrerebbe una conferma della teoria sovranista secondo la quale la moneta unica porta miseria. Ma non lo è. Perché non è così per tutti gli altri, dunque è impossibile che lo sia solo per noi.
Il ritardo italiano sta invece altrove, e dove lo dice Bankitalia: tra il 2013 e il 2016 il pil è cresciuto in Francia dell’1 per cento, in Germania dell’1,7, in Spagna del 2,6. In Italia dello 0,6. La produttività per occupato è aumentata in Francia dello 0,5 per cento, in Spagna dello 0,6, in Germania dello 0,8. In Italia è rimasta a zero. La produttività oraria, la più rilevante, è aumentata in Francia, Germania e Spagna con quote dallo 0,4 allo 0,8 per cento, mentre in Italia è scesa di un decimale. Un freno viene anche dalla demografia, con l’Italia che cresce dello 0,1 per cento rispetto allo 0,8 della Germania e allo 0,4 della Francia. Senza produttività e forze fresche non c’è sviluppo: e questo nonostante gli sforzi modernizzatori e le best practices delle industrie private. Che però si scontrano ogni giorno con il fronte del No a tutto, dalle trivelle ai voucher, dai grillini alla sinistra Articolo 1. Negli anni 90 la scia di Mani pulite e l’ingresso nel governo di Antonio Di Pietro coincisero con la prima seria recessione italiana. Ora i 5 Stelle ci riprovano con i magistrati, Piercamillo Davigo e Nino Di Matteo. Perseverando non si impara, e non si cresce.