La crisi bancaria è (quasi) over
Mps è una svolta. Ma la colpa del mal governo bancario non è dell’Europa
Senza peccare di ottimismo è prevedibile che l’accordo tra governo e Commissione europea sul Monte dei Paschi di Siena apra la strada alla soluzione del maggior problema bancario italiano, e che il settore possa tornare a concentrarsi sul sostegno alla crescita. E’ da vedere se il modello Mps sia replicabile con le altre crisi, pur diverse, dalle due popolari venete alla genovese Carige, fino ai piccoli istituti territoriali. La Commissione europea infatti potrebbe avere un atteggiamento più guardingo e critico verso altri istituti dopo l’avallo al soccorso pubblico per Mps, subordinato al coinvolgimento dei privati partecipanti alla vita della banca più antica del mondo. Non sarà una passeggiata, né la via scelta per Mps s’adatta a Vicenza. Tuttavia è evidente che quello che appariva come un rischio sistemico per il risparmio nazionale e la posizione del paese in Europa, una montagna da scalare, sembra ora un percorso impervio ma finalmente in discesa.
Le due banche maggiori, Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno retto anche meglio delle concorrenti tedesche e inglesi, rivolgendosi (specie la seconda) al mercato. La riforma renziana delle popolari ha costretto le lombarde Bpm e Banco popolare a una fusione per trasformare in forza due vecchie debolezze. Resta il peso dei crediti deteriorati (npl) dei quali è iniziato lo smaltimento, e chi è più forte e ha la garanzia di maggiori coperture stabilisce le condizioni migliori. Molti prevedono un business per i fondi avvoltoi che comprino a percentuali inferiori al 20 per cento rispetto al valore originario dei crediti concessi, ma l’Italia non ha scelto la strada della bad bank con gli aiuti europei come invece la Spagna. Sarebbe qui appropriato ricordare che la decisione del governo Monti di non avallare l’intervento del Fondo salva stati europeo, su modello spagnolo, fu presa per non cedere sovranità fiscale soprattutto. Ora che la crisi sta terminando le domande alle quali il partito sovranista dello sfascio e del complotto dovrebbe rispondere, se fosse in buona fede, sono: le nostre banche stanno meglio o peggio di prima? E quelle che stanno peggio lo devono all’Europa o a se stesse?
Bene: chi meritava la fiducia dei mercati sta meglio, avendo cestinato gli scricchiolanti azionariati autoreferenziali e compreso che si può elargire credito – l’Istat segnala un aumento del 17 per cento di mutui nel 2016, al netto delle surroghe, preludio di ripresa del mercato immobiliare – senza alimentare la finanza allegra. Quanto al ruolo europeo, le sue regole contraddittorie non possono essere additate a causa di malgoverni bancari tutti italiani, e con lo stesso vizio clientelare della “difesa del territorio”, quali Mps, Vicenza, Arezzo. Dove pure sono gli epicentri degli slogan del “risparmio tradito” e dell’Italexit.