Adiós, Chávez!
Il bond a cent’anni dell’Argentina seppellisce il ciclo populista sudamericano
L’Argentina ha ottenuto 2,75 miliardi dall’emissione di bond a cento anni denominati in dollari soltanto a un biennio di distanza dalla rimozione dei controlli sui capitali successivi al default sul debito del 2001, all’epoca il più grande al mondo nonché l’ottavo in sequenza dall’indipendenza di Buenos Aires nel 1816. La posizione benevola degli investitori rispetto a un’emissione obbligazionaria di durata secolare – indice del desiderio di tornare a essere un paese considerato affidabile – deriva dall’azione del governo di Mauricio Macri in carica da fine 2015 con un gabinetto di funzionari, tra cui ex banchieri formatisi negli Stati Uniti, con mentalità pro mercato e impegnati a produrre riforme economiche non più rinviabili, in primis limitare e controllare la spesa pubblica. In parallelo il governo Temer in Brasile è sulla stessa lunghezza d’onda. La riabilitazione dell’Argentina sui mercati è paradigmatica del cambiamento della cultura politica del paese che ha salutato il nuovo millennio fallendo e, in senso più ampio, rimarca la conclusione del ciclo politico socialista sudamericano. Le forze variamente socialiste, anti americane e populiste che hanno dominato la scena politica della regione negli anni Duemila – Hugo Chávez e poi Nicolás Maduro in Venezuela, Lula e Dilma Rousseff in Brasile e i coniugi Kirchner in Argentina – non soltanto hanno esaurito la spinta propulsiva e si sono rivelate fallimentari per loro natura e colpa, ma soprattutto mostrano alle “quinte colonne” – molte in Italia – che l’ideologia della “rivoluzione bolivariana” non fa parte di questo secolo. Il profondo baratro economico e sociale del Venezuela, colosso petrolifero incapace di sfruttare le sue risorse, prova da sé che l’utopia chávista s’è tradotta in un incubo autoritario portatore di miseria. L’Argentina di Macri indica invece la via del riscatto.