Quel Tesoro che Renzi si perde in Europa
La flessibilità ha senso solo mettendo da parte le tentazioni anti europeiste
Il rapporto fra Matteo Renzi e l’Europa è stato spesso conflittuale. Anche da presidente del Consiglio, quando bollava come “tecnocrati” gli inquilini del Palazzo a Bruxelles e Strasburgo. Nonostante il tono polemico, però, Renzi pareva voler mantenere uno spirito costruttivo, come si capiva leggendo anche la sua mozione congressuale, nella quale definiva l’Unione europea come “il primo tentativo nella storia di creare un insieme sopranazionale in tempo di pace, senza armi e senza minacce, sulla base della libera adesione dei popoli”.
Il segretario del Pd, peraltro, ha sempre rivendicato di aver ottenuto “flessibilità” dall’Europa grazie alle riforme, quindi restando in una logica di trattativa politica. Ma dalle anticipazioni di “Avanti”, il nuovo libro di Renzi che esce oggi, la pace lascia il campo a un mood decisamente più burbanzoso. “Noi pensiamo che l’Italia debba porre il veto all’introduzione del Fiscal compact nei trattati – in linea, su questo, con la posizione del M5s – e stabilire un percorso a lungo termine”, dice Renzi, che propone per cinque anni di mantenere il deficit al 2,9 per cento, nonostante dal 2012 viga in Costituzione l’obbligo al pareggio di bilancio. “Ciò permetterà al nostro paese di avere a disposizione una cifra di almeno 30 miliardi di euro per i prossimi cinque anni per ridurre la pressione fiscale e rimodellare le strategie di crescita”. In sostanza, Renzi pensa di abbassare le tasse con quei 30 miliardi, ottenuti avvicinandosi al tetto del 3 per cento (attualmente il rapporto deficit-pil è al 2,4 per cento) previsto dal trattato di Maastricht.
Lo scambio tra flessibilità e riduzione della pressione fiscale è una buona idea che anche il Foglio propose alcuni mesi fa. Ma il dato che sorprende è che il segretario del Pd sembra intenzionato a portare avanti una linea di flessibilità a priori che non solo prescinde dalle fasi del ciclo economico ma che nei fatti mette in secondo piano quella che dovrebbe essere la vera grande battaglia per un partito a vocazione europea: la possibilità cioè che l’area Euro abbia un bilancio dotato di risorse proprie, la famosa Fiscal Capacity, con il quale finanziare le riforme strutturali adottate dai governi. La battaglia di Renzi avrebbe un altro sapore, meno populista, se fosse affiancata da una grande azione di mobilitazione per creare un unico ministro dell’Economia capace di avere un suo budget e con il quale emettere dei bond non per pagare i debiti pregressi ma per fare debiti finalizzati a stimolare crescita e investimenti. Scommettere sulla flessibilità può avere un senso a patto di non essere qualunquisti sul fiscal compact e non dimenticare che l’Italia può crescere solo se si impegna a rafforzare l’Europa non se mostra di volersi allontanare da questa.