Chi non è protezionista alzi la mano
Eccessi franco-italiani nella questione Fincantieri. E le ragioni pratiche
La decisione di nazionalizzare i cantieri navali di Saint-Nazaire voluta dal presidente francese Emmanuel Macron ha ricevuto il plauso della rivale Marine Le Pen. Ciò conferma che la questione della mancata cessione del controllo del porto militare a Fincantieri andrebbe inserita nella categoria dello sciovinismo. Da parte francese la difesa di un bene strategico è legittima, ma esaltare il risultato come fosse una vittoria in battaglia pare esagerato. Soprattutto se nel farlo si accentua il disagio di una nazione membro della comunità europea qual è l’Italia. È altrettanto disarmante la reazione di alcuni media italiani che tacciano i francesi di protezionismo. “Parigi vuole i cantieri di stato”, titola il Corriere della Sera. Ma con Fincantieri – che è pubblica – non sarebbero comunque di stato, quello italiano? Se chi non è protezionista fosse invitato a scagliare la prima pietra, l’Italia non potrebbe certo muovere un muscolo. C’è una lunga teoria di azioni difensive verso operazioni estere. La recente opposizione in blocco dell’apparato statale alla “strategica” Mediaset contro la scalata di Vivendi. L’alt di Amato con un decreto ad hoc verso Edf, azienda elettrica francese che aveva preso il controllo di Edison con Fiat, nel 2001. Il nein del governo D’Alema alla fusione tra Telecom Italia e Deutsche Telekom nel 1998. E altre. La Francia ha preso la pragmatica decisione di non lasciare il comando di un asset militare a una società pubblica come Fincantieri che ha una struttura largamente inefficiente e per nulla redditizia e somiglia più a una “one man company” di Giuseppe Bono – al vertice da oltre un decennio – che a un’impresa multinazionale dinamica dal momento che ha perso l’attimo per dotarsi di un piano di successione manageriale credibile.