Vista dall'America l'euro-crisi è finita, ma restano spinte centrifughe
Consapevoli che la politica monetaria non può però essere la panacea, il suggerimento dell’American enterprise institute è quello di completare l’architettura dalla zona euro senza però indugiare nella costruzione di un super-stato
Roma. A proposito della ripresa economica europea il think tank conservatore American Enterprise Institute (Aei), con base a Washington, si è spinto non molti commentatori italiani osano arrivare. “Dopo la crisi dell’Eurozona”, è il titolo di un recente paper firmato da Dalibor Rohac dello Aei e da Lars Christensen dell’Adam Smith Institute. Lo studio dà per superato il peggiore periodo – dal punto di vista economico e finanziario – dell’Europa unita e dell’area della moneta unica dopo turbolenze decennali. Tuttavia – avvertono gli esperti – sarebbe un errore dal punto di vista dei policymaker europei non approfittare degli sforzi prodotti dalla Banca centrale europea di Mario Draghi restando fermi e lasciando passare il tempo senza produrre riforme a lungo rimandate dell’architettura comunitaria. “Nel 2017, il pil dell’Eurozona dovrebbe crescere dell’1,6 per cento. La Spagna, l’Italia, il Portogallo e la Grecia sono tutti destinati a crescere, in alcuni casi a tassi superiori al 2 per cento. Dopo quasi un decennio, sembra che la crisi della zona euro sia finita. Tuttavia, con tassi di crescita cronicamente bassi in tutto il mondo occidentale, l’Europa avrà molti anni per riprendersi completamente dai danni economici subiti”, dicono i ricercatori. Il periodo di calma potrebbe inoltre non essere così duraturo, o almeno è utile ripararsi. “Prima o poi – dice l’Aei, facile profeta di sventura – arriveranno nuovi choc economici. E come la Bce risponderà a questi choc, determinerà se l’Europa ripeterà l’esperienza dell’ultimo decennio e non c’è alcuna garanzia che la zona euro o anche l’Unione europea possano sopportare un altro round del dramma visto negli ultimi otto anni”. La soluzione non sarebbe, come molti temono in Germania, quella di mettere in pericolo l’indipendenza della Bce, per farne un’istituzione-stampella degli stati più indebitati. “Affrontare il problema, però, richiede che la Bce impari dai suoi errori passati – prodotti all’inizio della crisi – spostando il suo obiettivo primario dalla conduzione della politica monetaria attraverso i cambiamenti dei tassi di interesse, a utilizzare il livello di prodotto interno lordo nominale aggregato come uno dei suoi obiettivi, se non l’obiettivo. La Banca può controllare direttamente la spesa nominale acquistando e vendendo titoli, per cui la Bce dovrà superare la sua attuale avversione, determinata in parte dalle pressioni provenienti dalla Germania, agli acquisti di beni”, scegliendo tra un paniere più variegato s’intende.
Consapevoli che la politica monetaria non può però essere la panacea, il suggerimento dell’American enterprise institute è quello di completare l’architettura dalla zona euro senza però indugiare nella costruzione di una entità centralizzata, un super-stato, perché si correrebbe il rischio di aumentare le spinte nazionalistiche che non sono del tutto sopite, nonostante le sconfitte dei partiti populisti in Olanda, in Francia e – facile prevedere – in Germania quest’anno. “L’Europa non è adatta – dicono i ricercatori – per essere un’entità monolitica e qualsiasi movimento in quella direzione potrebbe incentivare l’azzardo morale tra i governi costitutivi della zona euro e, infine, rafforzare le forze centrifughe. Al contrario, gli europei dovrebbero abbracciare un approccio federale che traccia le linee di faglia tra l’autorità su scala di governi nazionali e l’autorità su scala dell’Unione europea. Un modo per preservare il controllo statale sulle loro nazioni, dando però alle istituzioni europee comuni gli strumenti necessari per fornire i beni pubblici essenziali a livello comunitario”. Un’unione monetaria riuscita – conclude il rapporto – deve essere sostenuta da solide politiche economiche dei singoli stati membri che ancora controllano la maggior parte del processo politico, mentre la Commissione europea deve insistere nel completare il mercato unico.