La regola di Draghi
Il presidente della Bce parla di produttività, la politica blatera di pensioni
Nel suo discorso al simposio dei banchieri centrali a Jackson Hole venerdì scorso, Mario Draghi ha parlato di come sostenere l’apertura in questa fase di crescita e dinamismo dell’economia globale. Anche se il presidente della Bce non ha dato indicazioni sulla fine dell’ombrello che la politica monetaria offre dal 2015 attraverso l’acquisto di titoli pubblici, il Quantitative easing, queste indicazioni sono comunque ancora più stringenti e fondamentali da ascoltare (ed eseguire, possibilmente) per capire come muoversi dopo il Qe. L’apertura dei mercati è stata criticata, ha spiegato Draghi, perché la dislocazione delle produzioni ha comportato la reazione avversa del protezionismo, o almeno di un ritorno di quell’idea.
Ma il momento è decisivo affinché il libero scambio non sia considerato la causa dei mali ma semmai una soluzione, se bilanciato in modo che nessuno rimanga indietro. Insomma, serve protezione e non protezionismo. “Per iniettare più dinamismo nell’economia globale dobbiamo aumentare la crescita potenziale [del pil], e per farlo visto l’invecchiamento delle società dobbiamo aumentare la crescita della produttività”. Draghi ha insistito durante la sua carriera all’Eurotower – e anche prima alla Banca d’Italia, sebbene in altri termini e con altri interlocutori – sulla necessità per i governi europei di intaccare debolezze strutturali. E’ un discorso con una prospettiva per ora molto distante da quella miope della politica italiana che, in vista della prossima legge di Bilancio, anziché cercare di recuperare produttività punta, come al solito, ad aumentare la spesa pensionistica.