Lasciarsi la crisi alle spalle
Pil all’insù, fiducia, Moody’s. All’euroripresa manca solo il “bollino Bce”
La fase positiva del ciclo economico si sta manifestando con un miglioramento simultaneo degli indicatori macroeconomici nella maggiore parte dei paesi dell’Eurozona, al pari dei paesi dell’area Ocse, a dimostrazione che la crisi degli ultimi dieci anni appartiene al passato. Ieri l’agenzia di rating Moody’s ha migliorato le previsioni di crescita del pil dell’Eurozona nel suo complesso per quest’anno con un grande balzo rispetto alle indicazioni precedenti (2,1 per cento nel 2017 contro l’1,7 previsto soltanto nel maggio scorso). A questo si aggiunge una condizione di sostanziale stabilità politica assicurata dal tandem franco-tedesco Macron-Merkel attraverso l’avallo alla creazione di un Fondo monetario europeo, un meccanismo di finanziamento per progetti nazionali mirati soggetti quindi a vigilanza esterna e condizionalità. In senso opposto all’Europa, dice Moody’s, va invece l’economia degli Stati Uniti che rallenterà più di quanto previsto in precedenza per via della “inazione” dell’Amministrazione di Donald Trump (altro schiaffo morale dopo il recente annuncio di un grande fondo pensione di Finlandia, il Varma Mutual Pension Insurance, di disinvestire dal listino azionario americano). Sulla fase positiva generale pende l’incertezza per l’escalation di un conflitto bellico-nucleare in Corea del nord che coinvolgerebbe le maggiori potenze globali e sta impensierendo gli investitori di Borsa. Anche in questo caso l’Europa emerge però in una posizione di forza, come riparo dall’incertezza geopolitica, con l’euro arrivato a toccare i massimi dal 2015 sul dollaro al cambio di 1,20. In Eurozona la fiducia nei settori di industria, costruzioni, servizi, commercio e dei consumatori – risulta nei sondaggi aggregati nel Economic Sentiment Indicator pubblicato ieri da Eurostat – è ai massimi da dieci anni, dal giugno 2007, a indicare che il progresso del pil dell’area non è effimero ma ha i numeri per continuare. Nell’estate europea del nostro contento la fiducia economica in Italia è salita (più 3,6 per cento) maggiormente che in Francia (più 1,7) e Spagna (più 1,4) mentre è leggermente peggiorata in Germania (meno 0,6), l’economia più brillante. Al riscatto europeo, come nota Bloomberg, manca solo il certificato ufficiale della Banca centrale europea di Mario Draghi: l’annuncio del ritiro degli stimoli monetari al Consiglio direttivo del 7 settembre, o più probabile, del 26 ottobre andrebbe in questa direzione. Per l’Italia, oltre ai sondaggi sulla fiducia, altri fattori inducono all’ottimismo. Sempre ieri Moody’s ha migliorato le stime di crescita del pil per il 2017 e il 2018 prevedendo una crescita dell’1,3 per cento per questo e per il prossimo anno, uno scarto consistente rispetto allo 0,8 e l’1 per cento stimati in precedenza. L’agenzia di rating aveva un atteggiamento conservativo prima delle cruciali elezioni francesi, vinte dal movimento europeista di Emmanuel Macron, e l’indicazione potrebbe portare in prospettiva a una revisione non tanto del giudizio del merito di credito italiano (fuori dalla serie A secondo tutte le agenzie di rating – Moody’s si pronuncerà il 6 ottobre) quanto dell’outlook che al momento è negativo. Altri osservatori mondiali e nazionali – Fondo monetario internazionale, Ufficio parlamentare di bilancio, Banca d’Italia e Confindustria – hanno già corretto al rialzo le previsioni di crescita dell’Italia. L’Istat ha rilevato nel secondo trimestre una crescita acquisita dell’1,2 per cento. E si capirà oggi se al miglioramento delle stime macroeconomiche seguirà quello sull’occupazione. Un dato sensibile quest’ultimo, in prospettiva elettorale, per il governo di Paolo Gentiloni per dimostrare che – dopo la riforma del Lavoro e gli incentivi alle imprese del suo predecessore Matteo Renzi, segretario del Pd – da un progresso confermato in settori chiave del manifatturiero made in Italy (farmaceutico, petrolifero, automotive in testa) e un rimbalzo nei servizi (con un rialzo modesto del fatturato nella prima metà dell’anno, più 0,7 per cento) deriva anche un miglioramento delle condizioni sociali generali.
tra debito e crescita