L'ingiustizia al lavoro
Il dipendente ruba, l’azienda (Poste) lo licenzia, il giudice lo reintegra
Si dice da ogni parte che ormai il lavoro in Italia non è tutelato. Soprattutto da quando hanno messo il Jobs Act, signora mia, il padrone può cacciarti a pedate quando vuole, anche senza un motivo. A spostare certi discorsi dai salotti televisivi alla realtà, ci ha pensato una sentenza del tribunale del lavoro di Chieti: il giudice ha condannato le Poste a reintegrare un dipendente che era stato licenziato perché aveva rubato, con la motivazione che è stato licenziato troppo tardi. La storia è questa: un impiegato aveva sottratto dalla cassaforte dell’ufficio postale di Vasto circa 14 mila e 500 euro. Grazie ad alcune intercettazioni ambientali in cui si tradisce, l’uomo viene individuato come responsabile del reato. La direzione inizialmente chiede e ottiene il trasferimento dell’impiegato infedele e, dopo che vengono applicate le misure cautelari decise dal gip, lo sospende dal lavoro in attesa di un giudizio definitivo.
L’azienda potrebbe licenziarlo, ma evita perché magari un giudice del lavoro potrebbe reintegrarlo, se non c’è una condanna. E infatti dopo un paio d’anni, su istanza degli avvocati, l’uomo viene riammesso al lavoro, in attesa della sentenza penale che arriva dopo altri due anni: condanna a un anno e nove mesi per appropriazione indebita. Con la condanna in mano, le Poste si sentono sicure di poter procedere al licenziamento. Ma l’uomo impugna il licenziamento e trova un giudice del lavoro che gli dà ragione: “La società disponeva sin dall’inizio di tutti i dati sufficienti per procedere a una contestazione disciplinare”. In pratica l’azienda ha sbagliato: ha aspettato troppo, doveva licenziarlo prima. E ora le Poste sono state condannate a reintegrarlo, a pagare gli arretrati e pure le spese legali. Sono queste le cose difficili da spiegare agli investitori esteri.