Il problema di Bollò si chiama Netflix
La piattaforma streaming americana galoppa. Vivendi raccoglierà le briciole?
L’ambizione di Vincent Bolloré nel settore dei media è nota da almeno un decennio: creare sotto l’ombrello della sua Vivendi un polo europeo della distribuzione di contenuti online a pagamento sul modello della piattaforma americana Netflix, a cominciare da Francia e Italia attraverso l’integrazione verticale tra Mediaset (contenuti) e Telecom (infrastruttura digitale). Sono ridimensionate le resistenze del governo italiano nei confronti di Bolloré, che controlla de facto Telecom e sta cercando un accordo pacifico con Mediaset. Il governo italiano vorrebbe riservarsi la prerogativa di fornire innesti manageriali nella struttura Telecom in modo da vigilare su asset sensibili come Sparkle, rete in fibra e cavi sottomarini, e Telsy, servizi di sicurezza nelle comunicazioni.
Se la tela di Bolloré prende forma – prima era solo “una macchia di blu e un trattino di marrone”, come lui stesso disse al Financial Times – il problema è capire se i concorrenti non siano a uno stadio ben più avanzato, tanto da frustrarne l’ambizione. Netflix, fondata da Reed Hastings, new entry nella classifica dei paperoni di Forbes, sta macinando guadagni in Borsa dopo i risultati del terzo trimestre. La piattaforma di streaming ha incassato il 30,3 per cento in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e viaggia verso l’obiettivo di 11 miliardi di fatturato nel 2017. A colpire gli analisti è il numero di nuovi utenti: 5,3 milioni, 850 mila negli Stati Uniti e 4,45 milioni nel resto del mondo. Nel 2018 saranno investiti 8 miliardi di dollari in nuove produzioni per battere la concorrenza. Apple ha arruolato il regista Steven Spielberg. Amazon lancerà i suoi film. Snap, l’app di messaggistica, si allea con NbcUniversal. Bollò rischia di raccogliere le briciole che cadono dall’America.