Alla Consulta (stavolta) vince il buon senso
La sentenza sulle pensioni non fa saltare i conti. Prevale la ragionevolezza
E dire che il pronostico non s’annunciava incoraggiante. A osservare i dettagli della vigilia, il rischio di una nuova voragine nei conti sembrava concreto. Silvana Sciarra, infatti, era stata relatrice anche della sentenza della Corte costituzionale che nel maggio del 2015 aveva innescato il tutto, bocciando un comma del decreto “Salva Italia”. Quello che a fine 2011 aveva introdotto il blocco delle perequazioni delle pensioni dal valore oltre tre volte il trattamento minimo. La Consulta lo aveva ritenuto incostituzionale, generando un buco potenziale di 24 miliardi nel bilancio pubblico. Il governo Renzi aveva dovuto metterci un pezza, e lo aveva fatto col cosiddetto “bonus Poletti”, che cambiò la norma varata dal governo Monti sotto la pressione di un rischio di default, introducendo rivalutazioni parziali ispirate a un principio di progressività.
Per qualcuno, però non era ancora abbastanza: e si è tornati così a interpellare la Consulta. Relatrice: Silvana Sciarra, pure stavolta. Déjà-vu? No, perché ieri i giudici hanno respinto le censure d'incostituzionalità, definendo “non irragionevole” il bilanciamento “tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica” ideato dal governo Renzi nella primavera di due anni fa. E dettato da ragionevolezza, al di là del merito specifico del dispositivo, appare pure il giudizio della Corte. Che forse, memore del precedente azzardo, ha tenuto in maggiore considerazione le ricadute pratiche del suo pronunciamento. In ballo c’erano, di nuovo, una ventina di miliardi di euro: un ammanco cui il governo si sarebbe ritrovato a dover far fronte mentre la manovra finanziaria s’avviava ad approdare in Parlamento. E’ prevalso il buon senso: e non era scontato.