Le regole del gioco cinese
Quando i paladini della libertà accademica censurano Piazza Tiananmen
Le leggi del mercato e le leggi della censura. Per molti editori e accademici l’ingresso nel mercato cinese è troppo ghiotto, e quindi vale la pena evitare di parlare di parecchi argomenti “sensibili”, come Taiwan, Hong Kong, Tibet, Piazza Tiananmen. La scorsa settimana il Financial Times ha rivelato che Springer Nature, cioè l’editore di due tra le riviste scientifiche più autorevoli e famose del mondo, ha bloccato l’accesso ad almeno mille articoli nella versione cinese delle pubblicazioni. Quando ad agosto si è scoperto che la Cambridge University press aveva rimosso dal suo China Quarterly almeno trecento articoli per il mercato cinese, l’Università di Cambridge, che controlla l’editrice, era tornata sui suoi passi, visto il clamore mediatico della notizia. Secondo Jonathan Sullivan, direttore dell’istituto di Politica cinese all’Università di Nottingham, citato dal Financial Times, “le istituzioni occidentali non sono preparate ad affrontare gli sforzi di Pechino per cambiare l’occidente, e sono troppo inclini a rinunciare ai loro princìpi in favore della promessa dell’accesso al mercato: ‘La Cina può fare quello che vuole a casa sua, il vero problema è per il mondo accademico occidentale, i media e le aziende. Come è usanza cinese, loro dividono e governano”. Del soft power cinese nelle accademie e nel mondo scientifico si parla già da tempo in Australia, per esempio, dove Pechino ha una forza negoziale molto superiore. E’ quantomeno curioso che certi paladini della libertà accademica si pieghino ai compromessi dettati dalla Cina. Ma soprattutto, siamo davvero pronti a stare alle regole del gioco cinesi?