L'Italia cresce, è il debito che ci frena
Come leggere le previsioni (strette) di Bruxelles senza demagogia statistica
Anche la Commissione europea parla di “vera ripresa” per l’Italia, prevedendo a fine anno una crescita dell’1,5 per cento e allineando le stime a quelle aggiornate del governo. Ma, dice Bruxelles, dal 2018 il pil aumenterà un po’ meno, dell’1,3 e poi dell’uno per cento. Roma ribatte che i suoi calcoli si rivelano sempre migliori di quelli di Bruxelles. I consueti raffronti a 28 ci vedono in coda, anche rispetto a Grecia e Romania. Certi paragoni però lasciano il tempo che trovano. E non solo perché occorre guardare, oltre che ai trend, ai dati assoluti: crescere meno della Grecia, che non ha chance future di competere nell’industria, significa ben poco. Quello che come sempre conta per noi è la discesa, molto lenta, dell’indebitamento pubblico. Mentre i raffronti sul pil vanno fatti con i concorrenti. E qui ci supera non solo la Germania, ma anche la Francia e la Spagna.
Secondo un’altra classifica a cura della Confindustria, di Global Insight e dell’Onu, nella produzione industriale l’Italia si conferma tra i primi sette paesi del mondo, dietro Cina, Usa, Giappone, Germania, Corea del sud e India, mentre in questo G7 il nostro trend di crescita nel 2013-16 supera gli Stati Uniti ed è superato dal Messico. In altri termini siamo secondi in Europa, dietro alla Germania; soprattutto negli ultimi anni la crescita cumulata dell’industria è doppia rispetto a quella del pil. Il che ha un’ovvia spiegazione: il settore privato traina il paese, mentre quello pubblico, e il conseguente aumento del debito e della spesa, lo frena. Ha molta ragione chi, come il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, invita a non disperdere le risorse in “mance elettorali”; o peggio assistenziali. Di questo le forze politiche serie, governo e opposizione, dovrebbero occuparsi, lasciando perdere la demagogia statistica.