Le condizioni per il riscatto bancario
Accantonare i banchieri del territorio e governare le spinte della Bce
Il caso Carige è l’ultima infiammazione dei mali bancari italiani, già lenita dai 20 miliardi stanziati dal Tesoro, dei quali rimane la metà, oppure la febbre è destinata a non guarire? Oggi la crisi della Cassa di risparmio di Genova pareva in via di soluzione: all’aumento di capitale da 560 milioni, sospeso dopo che solo i tre maggiori azionisti si erano detti disposti a coprirlo, dovrebbero partecipare altri soci finanziari con l’ok del consorzio di garanzia. Evitando dunque di attingere, dopo popolari venete e Mps, a denari pubblici, pessimo viatico per la ricapitalizzazione attesa per il Credito valtellinese. Il male non verrà debellato se non si verificano due condizioni. La prima è archiviare l’èra delle banche territoriali con azionisti gli imprenditori dello stesso bacino (a Genova, Vittorio Malacalza, Gabriele Volpi, Aldo Spinelli), e nella peggiore le fondazioni portatrici d’interessi politici. Il modello manageriale rappresentato da banchieri come Jean Pierre Mustier, Carlo Messina, Victor Massiah, avvezzi alla globalizzazione e attenti al ritorno per i soci, è preferibile. La seconda condizione è che la Bce si quieti: accantonate le restrizioni retroattive sui crediti deteriorati, spunta un paper che suggerisce di sollevare la garanzia sui depositi fino a 100 mila euro in caso di bail-in, per educare al rischio i correntisti. Per ora è un “contributo al dibattito” partorito dai falchi tedeschi in risposta a Europarlamento e Consiglio d’Europa. L’assunto è che tenere soldi garantiti sul conto produca “assalti ai bancomat” in caso di crisi, e scoraggi gli investimenti. Il paper è dell’8 novembre, finora non si registrano critiche. Prima che della faccenda s’approprino i populisti, Banca d’Italia farebbe bene, stavolta, a farsi sentire. Anche per riscattarsi dalle distrazioni sul bail-in.