Ricca Alitalia in povero stato
Perché è un rischio se per i commissari “prestito” fa rima con “regalo”
Sembra che i commissari di Alitalia abbiano preso la missione di vendere la compagnia aerea, fallita nel maggio scorso, per il verso sbagliato, dimenticandosi a chi rendono conto. Parlando della disponibilità di cassa dell’azienda, il commissario straordinario, Luigi Gubitosi, ha detto che la compagnia “non ha a memoria recente di aver avuto tutti questi soldi” riferendosi agli 849 milioni di euro rimasti sui 900 complessivi elargiti dallo stato per superare il processo di valutazione delle offerte e di vendita; possibilmente l’autunno prossimo, certamente dopo le elezioni della prossima primavera. Colpisce che Gubitosi, manager di successo, parli del prestito come se fosse un dato acquisito per Alitalia, come se fosse una riserva finanziaria assicurata, come se fosse una specie di finanziamento a fondo perduto – e non denaro pubblico che deve essere restituito in toto, in quanto appunto “prestito ponte”. Il rischio della degenerazione dell’intervento pubblico in economia per cui gli amministratori sembrano trattare le imprese con un approccio tipo figliol prodigo esiste e speriamo sia solo una nostra impressione. Sarebbe un problema però se il figliol poco efficiente tornasse dal genitore per farsi dare altri soldi e sperperarli come prima. Alitalia è fallita per decisione dei lavoratori quando il settore aereo internazionale era in ripresa. Durante il periodo estivo, tra giugno e ottobre, ha perso 31 milioni di euro mentre i concorrenti europei hanno guadagnato. Ad esempio Ryanair, pur colpita da un errore di programmazione delle ferie dei piloti, ha fatto profitti per 896 milioni. Per controllare l’azienda i “capitani coraggiosi” e poi Etihad investirono circa la metà dei 900 milioni assicurati dallo stato. Con il prestito Alitalia si poteva comprare. E’ però discutibile che il semplice galleggiamento stentato non sia considerato inaccettabile dai commissari.