Pensiero strategico
Energia e industria bersagli fissi. Contrastare i “no a tutto” è politica industriale
L’inverno è più freddo del previsto (con buona pace degli ultras del riscaldamento globale), l’industria tira (peccato per i supporter della decrescita), e l’Europa, in particolare Germania e Italia, rischia di restare a secco di gas. Per cui quello che arriva lo pagheremo a prezzi maggiorati del 30-50 per cento. In Germania è in tilt una delle due tubature del Fluxys Tenp, operatore che gestisce la pipeline tra Olanda, Svizzera e Mediterraneo. Anche l’Italia è in preallarme data la posizione strategica verso i fornitori russi e asiatici: il prezzo spot è già di un terzo superiore agli altri hub europei. Il nostro non è solo un problema contingente: proprio per la strategicità del paese l’Unione europea ha assegnato e finanziato ben quindici grandi progetti energetici, sei metanodotti e sette dorsali di alta tensione. Tra i primi c’è anche il Tap, contro il quale ieri c’è stata l’ennesima protesta in Puglia. L’“Italia del No” è così mobilitata non solo contro singoli investimenti e infrastrutture ma più in generale contro l’entità in apparenza astratta, ma invece motore dell’economia e della società, che si chiama energia. Il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, ha raccontato le obiezioni politico-ambientaliste pugliesi: lo spostamento di alcune decine di ulivi (mentre per l’ampliamento dell’acquedotto di proprietà della stessa regione che si oppone al Tap, ne furono abbattuti a centinaia) e il timore che tubature profonde 15 metri rechino più danni “di un fornello per preparare il caffè”. L’energia è considerata simbolo di capitalismo, diseguaglianze e poteri forti. Quando molti asset vengono detti strategici – col risultato che nessuno lo sia davvero (nemmeno la pizza patrimonio universale) – è dunque essenziale un “pensiero strategico” per contrastare il sentimento regressista.