Tregua elettorale all'Ilva
Cosa va cercando Emiliano e perché marciare contro l’Italia dei No
Il braccio di ferro sull’Ilva tra il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, entra in una fase di tregua elettorale. Calenda ha confermato che Emiliano ha rinunciato alla richiesta di sospendere il decreto che pianifica gli investimenti ambientali sul siderurgico tarantino, evitando di fatto il blocco delle attività e lasciando proseguire la trattativa tra governo, sindacati e il “cavaliere bianco” ArcelorMittal. Tuttavia la Regione Puglia non ha ritirato il ricorso al Tar a monte e il tribunale amministrativo di Lecce, in caso, dovrà esprimersi nel merito. Ma sarà con tutta probabilità dopo le elezioni politiche del 4 marzo. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e i sindacati uniti (Cgil, Cisl, Uil), oltre a Confindustria, hanno chiesto a Emiliano di ritirarlo per evitare il disimpegno di Arcelor. Emiliano insiste nonostante il piano ambientale Ilva sia uno dei più restrittivi d’Europa. Il che dà l’idea dell’operazione strumentale del governatore: vuole alzare la posta, arrivare allo scontro con il suo partito, il Pd, e smarcarsi sotto elezioni per confluire a sinistra in Liberi e Uguali passando per martire? In questa tediosa traversia i perseguitati sono i lavoratori. Un dipendente Ilva ha scritto al Corriere della Sera denunciando il “senso di impotenza” che prova da quando un magistrato sequestrò gli impianti, poi acuito dalla gestione commissiariale che ha prostrato l’azienda: i precedenti proprietari, i Riva, “erano ‘brutti sprochi e cattivi’ ma di denaro ne avevano, e pure molto!” e “il piano ambientale era alla loro portata”. Il privato sarebbe riuscito dove il pubblico sta fallendo e la politica (leggi Emiliano) fa del suo peggio. Vorremmo leggere altre quaranta mila lettere così e metterci in marcia contro l’Italia che dice No.