Oltre il caso Embraco. Non colonizzati ma globalizzati
Ci si attacca alla solita classifica della “corruzione percepita” di Transparency, ma non si ricorda che siamo tredicesimi per attrarre capitali. In Italia c’è un’internazionalizzazione che funziona
Durante la crisi gli investimenti stranieri diretti (cioè non puramente finanziari) in Italia hanno raggiunto i 346 miliardi di dollari; di questi 29 sono arrivati nel 2016 – ultime cifre ufficiali – in aumento del 50 per cento, ai massimi dal 2007. In attesa del consuntivo 2017 si possono registrare in questo inizio d’anno l’acquisto di Italo-Ntv da parte di Global Infrastructure Partners per 2,5 miliardi di euro e il rilancio sotto il nome Air Italy di Meridiana da parte di Qatar Airways e di Akfed, il fondo dell’Aga Khan. Operazione questa a basso costo di partenza (Meridiana rischiava di fallire) ma che prevede l’acquisto di 20 nuovi aerei in tre anni, 1.500 assunzioni, una strategia di sviluppo imperniata sull’aeroporto di Milano Malpensa che diventa l’hub internazionale della compagnia e l’aumento dei passeggeri da 2,5 a 10 milioni all’anno.
E’ sacrosanto fare il possibile per difendere i 497 dipendenti di Embraco (oggi la commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager ha affermato di voler valutare il rispetto delle regole comunitarie e confermato il divieto a delocalizzazioni con fondi dei contribuenti), ma perché non vedere l’altra faccia della medaglia? Anzi: non il caso di una singola multinazionale ma l’internazionalizzazione nel suo complesso? Si parla contemporaneamente di svendita dell’Italia agli stranieri e di multinazionali in fuga dall’Italia: qualcosa non quadra. Ci si attacca alla solita classifica della “corruzione percepita” di Transparency, aggiornata oggi, che ci colloca al 54° posto su 180 paesi, ma non si ricorda che siamo tredicesimi per attrarre capitali. Soprattutto si dimentica l’arrivo benefico, in due epoche distanti, di capitali esteri in aziende di primo livello come Nuovo Pignone, dal 1994 della General Electric, e Pirelli, dal 2015 di ChemChina. Entrambe hanno consolidato la leadership nei loro settori, aumentato gli occupati, mantenuto l’autonomia manageriale e tecnologica. Gli stranieri comprano gli immobili del lusso di Milano, e ora anche di Roma, proiettando la capitale lombarda tra le più appetibili metropoli nel mondo; questo dopo aver rilanciato Valentino, Gucci, Krizia, Loro Piana. Ma i nazionalisti elettorali dovrebbero ricordare lo shopping italiano all’estero di Luxottica (Ray-Ban e Brooks Brothers, tra l’altro), Ferrero Prysmian, Amplifon, Campari, Fiat, Fincantieri. Il saldo: al 2016 gli investimenti italiani all’estero sono saliti a 460 miliardi, quelli stranieri in Italia appunto a 346. Colonizzati? Globalizzati, piuttosto. Evviva.
tra debito e crescita