Piccolo, bello e internazionalizzato
L’arrivo dei fondi esteri dissolve un modello di banca clientelare. Il caso Creval
Con l’aumento di capitale del Credito valtellinese (Creval), dal 19 febbraio all’8 marzo, il consolidamento del sistema bancario italiano segna un’altra tappa, che dopo Unicredit, le popolari milanesi e venete, il bailout delle quattro casse dell’Italia centrale e il salvataggio pubblico del Monte dei Paschi, riguarda ora i medi istituti territoriali. Le modalità della ricapitalizzazione da 0,7 miliardi tagliano fuori in partenza la stragrande maggioranza dei 150 mila soci attuali. Qualcuno ha parlato di “bagno di sangue” visto che nei primi giorni il titolo ha perso l’85 per cento, segnalando una fuga dei piccoli azionisti. Ma è una lettura distorta: infatti dopo la chiusura dell’aumento, garantito dai maggiori istituti europei come Mediobanca, Credit Suisse, Société Générale, Commerzbank, Barclays, si cercherà l’ingresso di fondi internazionali, si smaltiranno 2,1 miliardi di crediti deteriorati e si perseguirà il ritorno all’utile. Ma soprattutto l’obiettivo è un partner che molti individuano nella Banca popolare dell’Emilia Romagna (Bper), stessa tipologia ma tripla per dimensioni. A quel punto i maggiori casi residui da risolvere definitivamente riguarderanno la Popolare di Bari e la Cassa di risparmio di Genova. Il Creval è stato una banca popolare fino al 2016 quando (come la Bper) si è trasformato in società per azioni in virtù della riforma del governo Renzi. E come in molti altri casi si è visto che il modello di banca locale con decine di migliaia di soci, spesso dipendenti, e pochi capitali, non poteva reggere. Chi oggi attacca quella riforma in nome degli “interessi del territorio” dimentica che il Creval aveva già dovuto ricorrere nel 2009 ai cosiddetti Tremonti bond, proprio come la Popolare di Milano, il Banco popolare e l’Mps. Né Vicenza, Milano, Siena, Arezzo e Sondrio sono aree depresse e distretti produttivi dove il credito non sa a chi indirizzarsi. E’ stato invece il mito del “piccolo è bello”, caro prima ai sociologi e poi a certi politici, a infrangersi contro i vènti avversi, come accade ancora nella manifattura. Non è un problema solo italiano, riguarda anche la Germania. Uscendo dalla crisi l’Italia avrà meno banche, ma migliori e più robuste, e non solo per soddisfare gli spesso criticabili regolatori europei, ma il mercato e i clienti. Su scala nazionale la cessione di Npl prosegue al ritmo del 25 per cento, mentre i prestiti sono in aumento. I capitali mercatisti promettono management migliori rispetto alle vecchie carriere vitalizie. Non tutto sarà mai perfetto, ma certe nostalgie risultano sospette.