L'Europa vuole colpire Facebook & Co. ma con un tempismo sghembo
La proposta di web tax dà una cornice continentale al prelievo fiscale sui big digitali ma implicitamente beneficia della compravendita di dati e stride con il caso Cambridge Analytica
La Commissione europea ha presentato oggi due proposte per regolare il gettito fiscale delle imprese digitali con cui punta a recuperare circa 5 miliardi di euro. Google, Facebook e Amazon sono le imprese più colpite secondo l'attuale strategia, sono però coinvolte tutte le piattaforme che traggono valore dall'interazione con gli utenti, sia vendendo servizi che raccogliendo dati, come Uber e Airbnb. L'aliquota è fissata al 3 per cento del volume d'affari e si applica solo alle società che registrano ricavi superiori a 750 milioni di euro a livello mondiale e 50 milioni in Europa, anche nel caso in cui queste abbiano sede legale altrove.
La prima proposta tenta di creare una connessione tra i luoghi in cui le aziende digitali generano utili e i luoghi dove pagano le tasse, superando i confini fisici delle sedi legali. Sarebbe così possibile tassare le imprese nei luoghi in cui queste hanno un'interazione significativa con gli utenti in base ai ricavi annuali generati (sopra i 7 milioni di euro), al numero di utenti (più di 100 mila) e a quello dei contratti commerciali per servizi digitali (oltre 3 mila).
La seconda proposta si concentra invece sui ricavi derivati dalle principali attività digitali: dalla vendita degli spazi pubblicitari online (Google) a quella di beni e servizi tra utenti (le piattaforme di sharing economy come Uber o Airbnb), ma anche la vendita dei dati degli utenti, su cui in questi giorni l'attenzione è alta per via del caso Cambridge Analytica. Facebook è sotto accusa per aver permesso l'uso dei dati dei suoi utenti nella campagna elettorale di Donald Trump. La proposta della Commissione europea, che ha chiesto nei giorni scorsi chiarimenti a Zuckerberg, riconosce implicitamente che la profilazione degli utenti è uno dei business delle compagnie digitali e che può quindi essere fonte di guadagno anche per le casse europee.
L'iniziativa della Commissione vuole creare una cornice fiscale uniforme tra i paesi membri per evitare che alcuni di questi possano intraprendere iniziative di favore con alcune imprese del web, come nel caso del Lussemburgo, che lo scorso ottobre ha ricevuto una multa di 250 milioni per aver agevolato Amazon. L'idea dei commissari è che un approccio coordinato sia l'unico modo per contrastare l'eventuale incertezza fiscale che può derivare da iniziative unilaterali, ma non sarà semplice trovare un accordo tra gli stati che dovranno votare la proposta all'unanimità in Consiglio perché diventi legge.
"L'economia digitale rappresenta una grande opportunità per l'Europa e l'Europa è una fonte di ingenti ricavi per le imprese digitali – ha detto Pierre Moscovici, commissario per gli Affari economici e finanziari – Questa situazione, vantaggiosa per tutti, solleva tuttavia problemi giuridici e fiscali. Le nostre norme, elaborate prima dell'avvento di internet, non autorizzano gli Stati membri a tassare le imprese digitali operanti in Europa quando vi hanno una presenza fisica minima o inesistente. Questa situazione rappresenta un buco nero ancora più grande per gli Stati membri, in quanto la base imponibile viene erosa".
Secondo le stime della Commissione l'aliquota media delle aziende digitali è di circa il 9,5 per cento dell'utile, mentre le imprese tradizionali pagano il 23,2 per cento. Una differenza che si traduce in un buco per le casse dell'Europa, considerando che 9 delle 20 società più importanti al mondo per capitalizzazione di mercato sono digitali, rispetto a 1 su 20 di dieci anni fa.