Il filo della nuova contesa italo-francese
La guerra Vivendi-Elliott in Tim può scaricarsi sullo scrigno di Mediobanca
La guerra in Tim, dove il fondo Elliott ha provocato la contromossa delle dimissioni dei consiglieri dell’azionista di maggioranza Vivendi e la decadenza del cda, potrebbe tra un anno trasferirsi in un crocevia ancora più strategico: Mediobanca. Qui non c’è, almeno per ora, Elliott. C’è però un socio di maggioranza (8,45 per cento), Unicredit, formalmente italiano ma che l’aumento di capitale attuato dall’ad francese Mustier ha trasformato in una public company per due terzi in mani straniere. E un secondo azionista (7,88 per cento) che è di nuovo il gruppo Bolloré. Un terzo, BlackRock (5,02), che giudica “pessimo” l’esito delle elezioni. Mentre il quarto, Mediolanum, è storico alleato di Fininvest, oggi avversaria di Vivendi.
Manca l’attenzione dello stato, che esiste invece per Tim in convergenza con Elliott. Ma il governo che verrà non potrà essere indifferente alla prima controllata (con il 13 per cento) di Mediobanca: Generali. Dove gli altri soci italiani hanno il 7,71, fondi e investitori istituzionali il 53, la Borsa il 27. Generali ha in portafoglio 70 miliardi di Btp e una parte cospicua del risparmio nazionale. Chi controllerà Mediobanca avrà indirettamente a che fare con i portafogli delle famiglie e con le emissioni del Tesoro. Anche per questo tentazioni di entrare in Generali sono venute prima a Intesa poi ad Atlantia. Ennio Doris, fondatore di Mediolanum, dice che nel 2019, quando scadrà il patto di sindacato, Mediobanca sarà contendibile. E anche appetibile: l’ultima semestrale 2017 ha chiuso con un record di ricavi (1,1 miliardi) e risultato operativo (più 23 per cento a 0,52 miliardi). Moody’s le assegna un rating superiore allo stato italiano. Si vedrà se Vivendi metterà in atto lì una controffensiva, e se Unicredit sarà protagonista di un’altra battaglia.