Mario Draghi (foto LaPresse)

Draghi argina i dazi trumpiani

Redazione

La svalutazione dell’euro (per ora) è l’unica contromisura alle minacce

L’euro ha chiuso mercoledì intorno a quota 1,19 sul dollaro, minimo in cinque mesi. Il che significa che dai massimi di 1,25 raggiunti a febbraio, la moneta unica s’è svalutata del 5 per cento sul biglietto verde. L’esatto contrario di quanto si augurava Washington. Dopo la scadenza del 2 maggio la Casa Bianca ha annunciato una deroga di 30 giorni per l’attuazione di dazi del 25 per cento sull’acciaio e del 10 sull’alluminio per Europa, Canada, Messico, Corea e Brasile. Deroga preceduta da una teleconferenza con la quale Angela Merkel, Theresa May e Emmanuel Macron avevano annunciato contromisure. Finora gli europei hanno giocato di rimessa in parte perché gli interessi in ballo hanno pesi diversi e in parte per la cattiva coscienza nel non avere spinto l’accordo di libero scambio transatlantico quando a volerlo era Barack Obama; per poi scoprirsi anti protezionisti.

 

 

Ora che il protezionismo preoccupa tutti, l’Economist pubblica un appello di 1.100 economisti che vedono lo spettro di una depressione in stile anni Trenta, l’unica a reagire è stata finora la Banca centrale europea, ovvio negando che i rapporti di cambio rientrino nel proprio mandato. A fine 2017 però Mario Draghi aveva definito l’indebolimento del dollaro “un fattore di instabilità”, concetto rafforzato in “minaccia alla crescita” il 26 aprile. Draghi annuncia tassi a zero a tempo indefinito, e perfino un possibile riallungamento dell’acquisto di titoli pubblici. “Riprende la guerra fredda delle valute”, dice Joachim Fels di Pimco. “Non solo a causa di Trump ma anche per le maggiori difficoltà politiche in Europa e Giappone, le rispettive Banche centrali saranno indotte a proseguire con gli stimoli monetari”. Di fatto, l’unica vera contromisura ai dazi americani è per ora la svalutazione dell’euro by Draghi.

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