La prima vittima della trade war di Trump
Il caso Zte mostra che l’America ha trovato una breccia per colpire Pechino
E’ bastata una ventina di giorni. A fine aprile l’Amministrazione Trump ha colpito con sanzioni durissime Zte, gigante delle telecomunicazioni cinese con 84 mila dipendenti, 14 miliardi di dollari di fatturato e una forte presenza anche in Italia, e ieri l’azienda ha annunciato la sospensione delle “principali attività di business” – significa: fine della produzione, almeno per ora. Le sanzioni imposte dagli americani non sono legate ufficialmente alla “trade war” cominciata da Trump: risalgono a una causa vecchia di anni, ma pochi dubitano che siano state rispolverate ad hoc in un momento di tensioni commerciali tra Washington e Pechino. L’America ha impedito a Zte di usare la tecnologia e i componenti dei suoi fornitori americani, che secondo le stime compongono tra il 10 e il 25 per cento dei prodotti della casa cinese. Senza un quarto dei fornitori, Zte è stata costretta a fermare la produzione in pochi giorni. L’azienda sostiene di avere abbastanza liquidità per poter assolvere ai suoi obblighi commerciali in attesa di poter risolvere la disputa giudiziaria, ma per ora è diventata la prima vittima della trade war tra Cina e Stati Uniti – e, sorpresa: la prima vittima è cinese. Mentre tutti attendevano che, nella guerra a colpi di dazi e sanzioni, a soffrire sarebbe stata l’economia americana, l’Amministrazione Trump ha trovato un punto debole nel livello di dipendenza ancora alto dell’industria tecnologica cinese nei confronti di quella americana. Quando si parla di dazi sulla soia e sull’acciaio i cinesi sono fortissimi, ma se la guerra commerciale si dovesse spostare nel campo dell’alta tecnologia allora Pechino rischia. Il governo cinese sta correndo ai ripari con programmi di “autarchia tecnologica”, ma nel frattempo sembra che Trump abbia trovato una breccia.