Il caos politico non tocca le banche
Se c’è un problema ora non è il credito ma il debito messo all’ingrasso
Il Financial Times, “autorevole” per default, ha dedicato alle banche italiane un editoriale il cui succo è che l’ottimismo testimoniato da un aumento dell’11 per cento in un anno delle quotazioni di Borsa maschera guai non risolti. Da dire che i problemi non sono risolti a scrivere che “il modello di business del 99 per cento delle banche non è più sostenibile” però ce ne corre. L’indice di settore è tra quelli che hanno sfidato meglio l’instabilità politica (più 8 per cento dal 5 marzo). I primi otto istituti hanno chiuso il primo trimestre con utili netti totali di 3,12 miliardi. Soprattutto prosegue lo smaltimento degli Npl, i crediti deteriorati che erano il rischio maggiore e il maggiore contrasto con l’Europa: dopo la vendita di 17,7 miliardi di Npl di Unicredit nel 2017 al 13 per cento del valore, Intesa ne ha piazzati ora 10,8 alla svedese Intrum, al 30 per cento. L’operazione con advisor Mediobanca segna una svolta sia per il prezzo sia perché a comprare non sono fondi ma un’industria specializzata con la quale Intesa ha stretto una joint venture puntando a un mercato profittevole. Certo, resta il secchio bucato di Mps. Ma la primavera aziendale pare sfuggire a 5 stelle e Lega, aspiranti al governo. Il capo dei rating sovrani di Moody’s, Dietmar Hornung, dice di osservare gli sviluppi politici per valutare il merito di credito. Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis si preoccupa per i conti pubblici. E’ appropriato. Negli incontri ripresi ieri a dispetto del fiasco esibito al Quirinale, si discute di pensioni e assistenza pubblica. Zero competitività, imprese, concorrenza, privatizzazioni. La disattenzione sulle riforme per l’Italia produttiva non stupisce da parte dei 5 stelle. Ma è un serio paradosso per la Lega. Di certo il problema non sono le banche.