Vittorio Colao, Sergio Marchionne e Mario Draghi (foto LaPresse)

I miglioristi del mercato

Redazione

Colao, Draghi e Marchionne. Eccellenze che l’Italia sovranista non merita

Assieme al contratto Frankenstein ridimensionato a bozza “superata” (vedremo), a far notizia è stato il preannuncio di dimissioni a ottobre di Vittorio Colao dal vertice di Vodafone, dopo dieci anni di successi che hanno trasformato il gruppo inglese nel maggiore e più in salute player europeo di tlc. Colao lascia tra apprezzamenti unanimi, come accadrà l’anno prossimo alla scadenza dei mandati di Mario Draghi alla Bce e di Sergio Marchionne in Fca. Colao, Draghi, Marchionne, sono tipi italiani un po’ diversi da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Non solo perché hanno creato fiducia e ricchezza, privata e pubblica, per le aziende e le istituzioni che hanno servito, rivoluzionandole – mentre i capi di Lega e M5s sembrano dediti a moltiplicare l’incertezza, la sfiducia, la spesa e il debito a carico dei contribuenti del paese che intendono guidare.

 

I due top manager e il presidente della Bce rappresentano, ognuno a suo modo, il meglio del mercato. Tre eccellenze italiane che non avrebbero vita facile nell’Italia sovranista-populista: come si vede anche dalle esternazioni di Di Maio & Salvini contro i salotti capitalistici, gli eurocrati, le Borse, i poteri oscuri – un trip da inique sanzioni – che congiurerebbero contro il “governo del cambiamento”. Magari Colao e Marchionne sarebbero stati bersagli della (non smentita) super-Cassa depositi e prestiti grillino-leghista; quanto a Draghi è la quintessenza dell’eurocrazia, il male assoluto. La realtà è che Colao, Marchionne e Draghi sono la prova provata che le buone ricette capitalistiche annullano le frontiere, dei soldi e dei talenti, smentendo il presupposto del nazionalismo benecomunista: la paura del mondo, del cosmopolitismo. E l’alibi pronto che in quel mondo, oltre confine, sia ogni nostra colpa.

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