Settentrione a bassa velocità
No Tav e Alitalia statale. Per questo il nord produttivo ha votato Salvini?
Buttare a mare la Tav, l’alta velocità ferroviaria Lione-Torino (destinata a raggiungere Trieste e i Balcani) e risalvare l’Alitalia? Ecco un punto – il numero 25 a pagina 33 – del contratto di governo Lega-M5s che Matteo Salvini potrebbe spiegare ai contribuenti italiani, e agli elettori e amministratori del nord dove il Carroccio governa e spopola. Anche mettendo tra parentesi il richiamo della commissaria Ue ai Trasporti Violeta Bulc che ricorda come l’Italia abbia sottoscritto già dal 2014 impegni finanziari “giuridicamente vincolanti”, l’obbrobrio è evidente.
La Tav, che nel contratto è un giorno da bloccare e l’altro da “ridiscutere integralmente”, è una infrastruttura strategica – tra quelle per le quali Salvini il 14 maggio aveva minacciato di far saltare l’accordo – mentre l’Alitalia, privata da 10 anni, e da sempre in deficit, è ora tenuta in vita dal prestito di denaro pubblico che così diverrebbe perenne. I Cinque stelle vogliono ristatalizzarla “nell’ambito di un piano nazionale dei trasporti”. Ma il turismo, il traffico business, i maggiori scali nazionali (Malpensa, Bergamo e Venezia in testa) dimostrano di poter fare a meno di Alitalia: ciò che interessa ai grillozzi è il bacino di voti di dipendenti e indotto, forte in Lazio e Campania. Che cosa questo abbia a che fare con la “cultura del fare” della Lega, la difesa del settentrione produttivo a corto di logistica, non si sa: infatti negli anni il Carroccio ha sempre votato sì alla Tav. Mentre i Cinque stelle pagano pegno ai No Tav , molto attivi sulla piattaforma Rousseau di Casaleggio, dove domenica si vota il “contratto per il cambiamento”. Cioè il destino di Luigi Di Maio e dell’intera operazione-governo.