Tornare a un Draghi dopo La Via
Perché recuperare un’interpretazione agonistica della direzione del Tesoro
Nessuno ha trattenuto alla direzione generale del Tesoro Vincenzo La Via, che ha lasciato l’incarico nei giorni scorsi a sei anni dall’arrivo in una delle posizioni più rilevanti della Repubblica. Per la possibilità di incidere sulla gestione del debito, sulle partecipazioni statali, la vigilanza sulle fondazioni, e – dopo la crisi economica – sulle ristrutturazioni bancarie, è uno degli incarichi più rilevanti per la trasmissione di indirizzi di politica economica e industriale dei governi e può essere l’“incubatore” di funzionari di rango internazionale. La Via tornerà probabilmente alla Banca mondiale, dov’era stato direttore finanziario dal 2005 al 2012. Secondo diversi osservatori, nel pieno della crisi economica e durante i suoi postumi, La Via ha dato un’interpretazione del suo ruolo non molto incisiva o quantomeno non agonistica come invece fu, ad esempio, quella di uno dei suoi predecessori, di cui lui è un protégé, ovvero Mario Draghi. Nella stagione delle privatizzazioni Draghi ebbe un’importanza cruciale.
Come Draghi, i suoi successori, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, sono transitati in banche d’affari americane, il primo in Morgan Stanley, il secondo in JP Morgan. Lo spostamento dal pubblico al privato è la normalità per molti funzionari e dai tempi del barone Richard Bethell che, nel 1868, dopo avere perfezionato il sistema legale britannico, divenne presidente della prima compagnia d’investimento mondiale, la Foreign & Colonial. Per fortuita coincidenza, a seguito delle dimissioni di Antonio Fazio, Draghi passò da Goldman Sachs alla Banca d’Italia e da lì arrivò fino all’Eurotower. Il prossimo governo dovrebbe testare prima le ambizioni del prossimo direttore generale perché potrebbe ricoprire posizioni di maggiore responsabilità in futuro.