Confindustria spiega perché il decreto dignità è un attacco alle imprese (e al lavoro)
L'associazione contro il provvedimento del governo: “Il risultato sarà di avere meno lavoro, non meno precarietà”
Magari, adesso, diranno che ricevere critiche da Confindustria sul primo provvedimento varata dal governo è una medaglia al merito. Che quelli, sia sa, sono i padrone. E che loro, al contrario, sono dalla parte dei lavoratori. Della gente. C'è però un problema, un particolare tutt'altro che irrilevante: non c'è lavoro senza imprese. Ed è proprio partendo da qui che Confindustria boccia il decreto dignità messo a punto dall'esecutivo gialloverde.
“Si tratta - spiega l'associazione - del primo vero atto collegiale del nuovo esecutivo e, anche per questo, è un segnale molto negativo per il mondo delle imprese”.
“Come abbiamo sempre sostenuto – prosegue – sono infatti le imprese che creano il lavoro. Le regole possono favorire o scoraggiare i processi di sviluppo e hanno la funzione di accompagnare i cambiamenti in atto, anche nel mercato del lavoro. Si dovrebbe perciò intervenire sulle regole quando è necessario per tener conto di questi cambiamenti e, soprattutto, degli effetti prodotti da quelle precedenti. Il contrario di ciò che è avvenuto col decreto dignità”.
Confindustria riprende i dati pubblicati dall'Istat (disoccupazione ai minimi dal 2012) e sottolinea come questi diano l'esatta dimensione di “un mercato del lavoro in crescita”. Un crescita legata soprattuto ad “alcune innovazioni” che il governo ha però deciso di smantellare. “Peraltro, le nuove regole saranno poco utili rispetto all’obiettivo dichiarato – contrastare la precarietà – perché l’incidenza dei contratti a termine sul totale degli occupati è, in Italia, in linea con la media europea. Il risultato sarà di avere meno lavoro, non meno precarietà. Preoccupa anche che siano le imprese a pagare il prezzo di un’interminabile corsa elettorale all’interno della maggioranza e che si creino i presupposti per dividere gli attori del mercato del lavoro, col rischio di riproporre vecchie contrapposizioni”.
Ma un'altra criticità del decreto è, per Confindustria, quella riguardante le “delocalizzazioni”. “L’Italia è un grande Paese industriale, la seconda potenza manifatturiera in Europa dopo la Germania, e avrebbe bisogno di regole per attrarre gli investimenti, interni ed esteri. Quelle scritte, invece, gli investimenti rischiano di disincentivarli. Sia chiaro: colpire duramente i comportamenti opportunistici di chi assume un impegno con lo Stato e poi non lo mantiene è un obiettivo che condividiamo. Ma revocare gli incentivi per colpire situazioni di effettiva distrazione di attività produttive e di basi occupazionali dall’Italia è un conto; altro è, invece, disegnare regole punitive e dalla portata tanto ampia quanto generica”.
“L’unico denominatore comune delle scelte fatte in tema di lavoro e delocalizzazioni - conclude Confindustria - è di rendere più incerto e imprevedibile il quadro delle regole in cui operano le imprese italiane: l’esatto contrario delle finalità di semplificazione e snellimento burocratico dichiarate dal nuovo governo all’atto del suo insediamento”.
Sovranismi all'angolo