Il grande rischio è la “first-mania”
Certo, il protezionismo. Ma il G20 fatica a distinguere i guai mondiali
Il G20 economico di Buenos Aires si è chiuso con una previsione di aumento dei rischi le cui cause vengono identificate “nelle crescenti debolezze finanziarie, tensioni commerciali e geopolitiche, squilibri globali e diseguaglianze”. Per essere decision maker, in un campo che pretende di basarsi su dati oggettivi, l’incapacità di sintesi è sconcertante; ancora più quella di stilare almeno delle priorità. Entrando nel merito gli squilibri sono congeniti sia alle crisi sia alla crescita e le diseguaglianze non si negano a nessuno. Sulle debolezze finanziarie delle venti maggiori economie il Fondo monetario internazionale, che di questi summit è il super-sherpa, produce rapporti e focus anche molto approfonditi; ma per non urtare le suscettibilità di nessuno non una di queste debolezze viene indicata, né del paese ospitante, l’Argentina, né soprattutto di Russia, Arabia Saudita, Turchia. O anche dell’Italia, ormai l’unico paese, e l’unico governo, che può mettere in crisi l’euro. Ma il vero elefante nella cristalleria del G20 è stata la guerra dei dazi scatenata da Donald Trump: le ritorsioni, l’asse Casa Bianca-Cremlino che ha per obiettivo l’Europa, la tentazione di utilizzare come arma valutaria la Federal Reserve. Se ne è parlato, certo, e le rassicurazioni specie sull’autonomia delle banche centrali si sono sprecate. Nessuno però ha il coraggio di chiamare per nome il primo (non l’unico) fattore di crisi: il sovranismo che si espande nel mondo, con ambizioni pari alla carenza di leadership. Se ognuno si dichiara “first”, e nessuno ha capacità di esserlo, la sconfitta è assicurata per tutti.