La Compagnia di San Paolo sbanda
La baraonda nella fondazione torinese, primo azionista di banca Intesa, racconta la crisi di leadership nazionale
Torino non è solo la città che ha osservato distratta la morte dell’uomo che ha salvato la Fiat, come ha raccontato Salvatore Merlo. Torino s’è dimostrata ieri una città con una classe dirigente spenta. La Compagnia di San Paolo, primo azionista di banca Intesa, ha dovuto scegliere al suo interno il segretario generale, l’attuale direttore dello Sviluppo del territorio Alberto Anfossi, per sostituire il gran commis Piero Gastaldo che per quindici anni aveva ricoperto quell’incarico strategico, il braccio destro e operativo del presidente della fondazione. E’ una brutta figura per la Compagnia dato che il processo decisionale è durato oltre un anno e il presidente Francesco Profumo non è riuscito a imporre il suo candidato Stefano Firpo, dirigente del ministro dello Sviluppo economico, il “papà” del Piano Industria 4.0 e dei Pir.
Il processo decisionale è stato sofferto e sono le modalità a fare capire quanto la Compagnia sia piegata su se stessa. Per scegliere tra i quattordici candidati erano stati ingaggiati degli head hunter e si poteva immaginare la selezione meritocratica di un manager. La scelta è stata interna, e senza nulla togliere ad Anfossi, che pure non era mai entrato nella rosa dei candidati, ciò denota una difficoltà oggettiva ad accogliere competenze fuori da un ambito provinciale. Un sistema clanico ha prevalso su meccanismi di selezione obiettivi. Non sarebbe stato male se la principale fondazione italiana e tra le prime per importanza in Europa avesse avuto l’energia di uscire da una visione ombelicale. In parte ciò è dovuto alla la foga di chi ha mosso guerra al presidente Profumo (il vicepresidente Licia Mattioli e il consigliere Anna Maria Poggi). In parte è per demerito di Profumo stesso, il quale ha preferito sacrificare i suoi intendimenti per assicurarsi una riconferma, in realtà non più così scontata dato che si è mostrato debole in casa propria. Ambisce poi sostituire Giuseppe Guzzetti alla guida dell’Acri e c’è da chiedersi come possa governare 83 fondazioni se non riesce a padroneggiarne una sola. Guzzetti ci penserà due volte prima di lasciargli lo scettro della “sua” associazione. In Intesa ci saranno passaggi delicati: la riconferma (o no) del presidente Gian Maria Gros-Pietro e la trasformazione in bancassurance. Un’istituzione indipendente dalla politica per costituzione è così stata assorbita da logiche politiche mostrando le stesse sindromi che attanagliano il paese: incapacità di proiettarsi fuori da sé e di affrontare con determinazione appuntamenti decisivi. La Compagnia ha sbandato.