Ridare dignità a chi crea lavoro

Redazione

Ecco perché da Udine a Varese, da Milano a Foggia, per le imprese ora l’incertezza rischia di diventare legge. Girotondo di imprenditori in subbuglio per un governo da panico

Alle aziende, da nord a sud, il cosiddetto decreto dignità è suonato come un allarme e un inaspettato schiaffo a chi aveva faticato a superare la crisi economica. I dati Eurostat del primo trimestre 2018 dicono che la percentuale di contratti a tempo determinato in Italia è pari 16,4 per cento, in linea con la media dell’Eurozona (16,3 per cento). Quindi, da queste parti, nessuno comprende da dove nasca l’urgenza di ridurre la flessibilità nel mercato del lavoro. Il rischio è che, di fronte all’irrigidimento delle regole su contratti e delocalizzazioni, gli imprenditori modifichino i piani di sviluppo con gravi ripercussioni sull’occupazione, che è poi quella che il governo vorrebbe tutelare, e sulla strategia aziendale. Negli anni i media televisivi soprattutto ci hanno offerto storie di imprenditori in difficoltà a causa della crisi economica, anche casi in cui un capo azienda pur di non arrivare a licenziare i propri dipendenti contemplavano l’idea di togliersi la vita (o lo facevano). L’impostazione del decreto colpisce perché rispecchia una concezione novecentesca del rapporto aziendale in un’ottica di padroni vs lavoratori. Le interviste raccolte hanno lo scopo non solo di raccontare come gli imprenditori stanno affrontando i cambiamenti che comporterebbe il dl dignità, in discussione alla Camera con oltre 400 emendamenti da esaminare, ma anche di suggerire quali personaggi sarebbe utile invitare nei prossimi talk-show.

Fantoni di Osoppo (Udine)

La Fantoni di Osoppo, zona industriale dell’udinese, produce e vende in tutto il mondo mobili per ufficio. Nelle sue fabbriche si lavora 24 ore su 24 tutto l’anno e la produzione è organizzata su turni. “Abbiamo circa mille dipendenti e nel nostro caso la struttura organizzativa è abbastanza rigida con la stragrande maggioranza dei contratti a tempo indeterminato – dice il titolare dell’azienda Giovanni Fantoni – In questa fase, stiamo valutando 30-40 posizioni di lavoratori assunti a tempo determinato e se saremo costretti ad attenerci alle tempistiche e ai criteri previsti dall’attuale stesura del decreto, la nostra decisione potrebbe essere negativa. Si tratta di una quota di addetti minima rispetto al totale degli occupati della Fantoni, ma il problema si pone in modo serio”. La Fantoni fattura 340 milioni di euro ed esporta il 30-40 per cento della produzione totale. Proprio per migliorare il posizionamento a livello internazionale, la proprietà lo sorso anno ha investito 100 milioni di euro. “Abbiamo agganciato la ripresa negli ultimi due anni grazie al nostro sforzo d’innovazione che è stato sostenuto dal Jobs Act. Francamente non capisco perché sia stato messo in discussione in questo modo. Come imprenditore mi sento demotivato”, conclude Giovanni Fantoni.

Gruppo Danieli di Buttrio (Udine)

Anna Mareschi Danieli è vice presidente del gruppo Danieli, multinazionale siderurgica quotata a Piazza Affari con 10 mila dipendenti, e presidente di Confindustria Udine. La sua opposizione al decreto dignità, che lei preferisce chiamare semplicemente decreto legge 87/2018, proprio per spogliarlo di quel senso di giustizia in chiave populista che il nome scelto gli conferisce, è tra le più nette nel mondo confindustriale. “Dal mio punto di vista, uno degli aspetti più gravi del decreto è rappresentato dalle misure anti delocalizzazione – dice l’imprenditrice – L’intero testo riferito a queste misure è grigio e l'approccio poco chiaro. Prendiamo l’esempio di un’azienda italiana che acquista in Italia un bene strumentale con le caratteristiche previste da Industria 4.0, cioè è iperammortizzabile (vuol dire che usufruisce di un beneficio fiscale nel tempo, ndr). Se la stessa azienda sposta quel bene in un altro paese in virtù di un appalto vinto che realizzerà con una stabile organizzazione estera, dovrebbe restituire allo stato il beneficio ottenuto”. Ancora peggio se l’azienda è presente in diversi paesi, come accade per una multinazionale, e trae da questo un impulso alla sua crescita. “In questo caso il rischio è che l’impresa venga accusata di delocalizzazione selvaggia e che debba pagare una sanzione pari a quattro volte il beneficio percepito”. Insomma, il quadro sanzionatorio è “davvero molto punitivo e ci ri-proietta in una vecchia cultura di stampo ideologico e anti impresa”.

Piccole e medie imprese friulane

La Confederazione delle Piccole e Medie Industrie del Friuli Venezia Giulia (Confapi FVG) con il suo Ufficio sindacale ha compiuto una analisi dalla quale è emerso che alcuni imprenditori associati – sono oltre mille le imprese, nelle province di Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine operanti nei comparti manifatturiero, edilizia, trasporto e logistica e servizi all’industria – hanno cercato di prorogare o rinnovare i contratti a tempo determinato prima dell’entrata in vigore del decreto.

 

Al momento, valutando eventuali possibilità di contenzioso legate all’apposizione di causali non in linea con le disposizioni di legge, preferiscono, se del caso, rinunciare al prestatore di lavoro oppure assumere un nuovo lavoratore fino a un massimo di 12 mesi. Per il presidente Massimo Paniccia queste disposizioni ci portano indietro di vent’anni, infatti, “la riduzione da 36 a 12 mesi della durata del contratto a termine senza motivazione, eventualmente prorogabile di altri dodici mesi, ma con indicazione della causa, non porterà a un incremento delle assunzioni a tempo indeterminato, ma farà solo venir meno quelle a tempo determinato o farà incrementare le ore di lavoro straordinario, o ancora favorirà il turn over di personale ”. Lo stesso si può dire sulle modifiche al contratto di somministrazione, la cui durata prima non era soggetta a vincoli temporanei e ora avrebbe un massimo di 24 mesi che “lo riducono ad una replica del contratto a tempo determinato”, prosegue. Non ultimo la modifica dell’indennizzo in caso di illegittimità del licenziamento in “tutele crescenti”, ossia per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, prevede cifre “improponibili” per le imprese fino a 36 mensilità di indennizzo a fronte delle attuali 24. “Anche questo – dice Paniccia – finisce con il costituire un fattore disincentivante alle assunzioni” e quindi i rappresentanti delle piccole e medie imprese friulane “confidano nella legge di conversione affinché vi venga inserita una serie di correttivi che tenga conto degli effetti di una crisi economica senza precedenti e non ancora superata e che attenui l’irrigidimento creato in quanto la flessibilità è ancora la misura fondamentale per sostenere il reddito dei lavoratori, le imprese e l’economia”.

Eceplast di Troia (Foggia)

La Eceplast è un’azienda famigliare, con forte proiezione internazionale, che realizza imballaggi industriali, fondata nel 1995, ha sede a Troia (Foggia) e conta 95 dipendenti. Nicola Altobelli è il direttore commerciale, e vice presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, e giudica il decreto dignità una “misura che risente ancora della campagna elettorale, più che un provvedimento di un governo in carica, che inizia la legislatura partendo da materie delicate come il lavoro e l’internazionalizzazione”. “Il tema è chiaro – dice – ancora una volta si cambiano le regole del gioco in corsa e le aziende devono in qualche modo correre ai ripari cercando di capire quali sono le nuove condizioni in cui operare e adeguarsi. Il dl dignità (il cui nome lascia perplessi, la dignità non si costruisce per decreto) introduce vincoli che fatico a immaginare come possano dare stabilità ai lavoratori. Nel nostro piccolo – aggiunge – stiamo valutando i contratti in scadenza prima delle ferie estive, per decidere se sia il caso di rinnovarli o di partire con contratti nuovi. E, per inciso, le valutazioni sono basate sul loro talento, sugli investimenti che abbiamo fatto finora su di loro e non sul mero vantaggio economico: anche questo mi piace chiamarlo riconoscimento della loro dignità. Nella migliore delle ipotesi sarà comunque un gioco a somma zero: alcuni imprenditori potrebbero preferire l’assunzione di nuovi lavoratori piuttosto che rinnovare quelli in azienda, perché sarà necessario indicare delle causali che come unico effetto certo avranno l’aumento del contenzioso in materia di lavoro, già dai prossimi mesi. Ovviamente questo provocherà un aggravio di costi, perché il lavoratore in azienda è già formato e produttivo. Il dilemma è decidere se rimanere ingessati o assumere ex novo. Noi siamo abituati a cercare opportunità, l’azienda è flessibile per natura – dice Altobelli parlando dagli Stati Uniti dove si trova per lavoro – e abbiamo bisogno di flessibilità non di irrigidimento. I nostri collaboratori sono prevalentemente a tempo indeterminato ma sono tutti entrati in azienda attraverso contratti a tempo determinato. Noi usiamo la flessibilità per affrontare picchi di stagionalità e selezionare meglio i collaboratori. Sentiamo un forte senso di responsabilità verso di loro, soprattutto considerato il difficile contesto socio economico in cui operiamo”, conclude.

Fossa di Gallarate (Varese)

Giorgio Fossa, già presidente di Confindustria e capo della Silvio Fossa Spa, azienda leader nella costruzione di cilindri oleodinamici con sede a Gallarate (Varese), è innanzitutto perplesso dalla incertezza introdotta dal decreto. “Il primo problema – dice – è la normativa. E’ andata in Gazzetta qualche giorno fa, ma poi alcuni effetti sono stati allontanati nel tempo. E’ un punto negativo perché ci dovrebbe essere un periodo transitorio e certo per l’applicazione della legge. C’è poi incertezza della norma stessa – aggiunge – le causali legate al rinnovo del contratto sono troppo generiche: si dice che le aziende devono avere esigenze ‘non programmate, temporanee o significative’. Questo è troppo vago ed è quindi probabile che, su queste basi, si reintroduca in azienda un conflitto tra datore e lavoratore che dovrà gestire il giudice del lavoro. E’ inaccettabile perché partiamo da una base di partenza non chiara e che, quindi, si presta facilmente a contenziosi. La riduzione da 36 a 24 mesi dei contratti non fa piacere alle imprese, ma è il minore dei mali. Il ministro Di Maio, nuovo del mestiere, doveva capire, prima del decreto, quanto pesa nel mercato del lavoro il tempo determinato: grosso modo di 3 milioni di lavoratori che sono il 15 per cento del mercato. Pensiamo di portarceli tutti in casa o di creare nuovi disoccupati? E’ questa l’alternativa. E poi sono sbagliate le tempistiche: andiamo verso una situazione economica mondiale in frenata. In un periodo come questo le aziende di qualsiasi tipo, commerciali, manifatturiere, di servizi, stanno attente alla singola unità e porre vincoli non aiuta. In più mi chiedo quale sia l’esempio del settore pubblico a quello privato dal momento che nel privato i contratti a tempo determinato vengono quasi sempre trasformati a tempo indeterminato, mentre nel pubblico questo non accade. Meglio fare ordine in casa propria prima di mettere in disordine casa d’altri. Il decreto lo definirei calcisticamente un ‘intervento a gamba tesa’ sull’impresa privata. Forse ci vogliono spingere a utilizzare di più il lavoro interinale tramite agenzia?”, si chiede Fossa. Fossa si domanda poi cosa ne pensano i lavoratori: “Giustamente aspirano al tempo indeterminato, ma adesso tra un determinato e un mancato rinnovo cosa preferiscono? Per la mia azienda – conclude – fino ad oggi il 99 per cento dei determinati si è trasformato in indeterminati: io che ho una produzione particolare so quanto costa formare un lavoratore e non posso permettermi di perderlo. Come me, ragionano anche altri. Nemmeno questo è stato compreso quando si è prodotto questo decreto che paralizza le imprese”.

Botta di Trezzano sul naviglio (Milano)

La parola “decreto dignità” mi spaventa, dice Lara Botta, vice presidente di Botta packaging, azienda storica del settore con sede a Trezzano (Milano). “A noi sembra che questo decreto stia creando una frattura tra i nostri dipendenti, che sono un valore e una parte integrante delle nostre imprese, e gli imprenditori che devono comprendere come investire e assumere. Ho la percezione – dice – che si voglia creare una faglia che divida dipendenti e imprenditori, in una lotta sociale che a nostro avviso non esiste”. “Il mio concetto di dignità – aggiunge – è poter essere messa nelle condizioni di potere offrire uno stipendio più alto, e condizioni di lavoro sempre migliori. Posso fare questo riducendo il cuneo fiscale che, allo stato attuale, è il nemico (forse non l’unico, ma di sicuro uno dei più importanti) delle imprese italiane”. Un irrigidimento del mercato del lavoro, in un momento congiunturale dove l’export sta rallentando, “ci porta a dovere fortificare maggiormente il nostro mercato interno. Tuttavia proprio perché non abbiamo capacità di prevedere i macro scenari, affidarsi a dei tempi circoscritti, e mi riferisco ai 12 mesi di contratto proposti nel decreto dignità, ciò implica un rischio molto elevato per noi imprenditori, quello di spendere tempo e risorse per una persona che poi dovrà lasciare l’azienda”. Più in generale “uno scenario di insicurezza legislativa, normativa e fiscale, come quello che pare prender forma in Italia con il nuovo governo, è, a mio avviso, disincentivante sia per gli investitori stranieri sia per noi imprenditori che non sapendo come muoverci rischiamo di rimanere paralizzati dall’incertezza. Il tutto a danno del sistema paese che ha invece bisogno di crescita economica grazie a nuovi posti di lavoro e consumo interno”.

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