Débâcle di stato in Tim
A respingere Vivendi le casse pubbliche stanno perdendo milioni. Memento
Il 4 maggio, quando il fondo Elliott conquistò il cda di Tim, l’azienda ex monopolista capitalizzava 12,8 miliardi. Oggi ne vale poco più di otto: un calo del 35 per cento, ai minimi da cinque anni, quasi tre volte quello di Piazza Affari. Su 4,8 miliardi persi in quattro mesi, Elliott ci ha rimesso 430 milioni: non un successo per chi agisce in una logica speculativa, ma che magari potrebbe rifarsi, vendendo, se il titolo Tim si riprendesse. Molto peggio va alla Cassa depositi e prestiti, che rastrellò azioni Telecom per contrastare i francesi di Vivendi, rimasti in maggioranza, considerati da questo e dal precedente governo invasori arroganti e incapaci. Un’accusa era proprio la perdita di valore, ma l’intervento nazionalista è finora costato alla Cdp, quindi al Tesoro, e perciò ai contribuenti, 236 milioni su 640 investiti: le risorse per una mini-riforma, si direbbe.
La differenza è che al contrario di Elliott la Cassa è tenuta ad agire in maniera strategica, cioè durevole. L’operazione fu del governo Gentiloni, by Carlo Calenda. Il nuovo governo gialloverde, che ha cambiato i vertici di Cdp, interpreta l’interventismo pubblico in modo anche più estensivo. Gli esperti addebitano i guai di Tim all’aggressività della compagnia telefonica low cost Iliad, francese, e all’incerta governance dove l’ad Amos Genish è rimasto al suo posto sostituendo manager invisi a fornitori e sindacati. Ieri Vivendi in un comunicato si diceva “profondamente preoccupata” per la “disastrosa gestione” dopo l’ingresso di Elliott che ha spinto per ribaltare il cda. Cdp dovrebbe condividere il disappunto. Memento: interventismo non è fare la guerra allo straniero, così si perde facile.