Negozi chiusi nelle domeniche sovraniste
Lega e sindacati applaudono perché tolgono la libertà di fare acquisti
In pieno revival, non potendo per ora tornare alla lira e al servizio di leva obbligatorio, la maggioranza ha presentato alla Camera il disegno di legge che proibisce l’apertura domenicale dei negozi, abolendo la liberalizzazione introdotta dal governo Monti, peraltro già anticipata da anni nei maggiori capoluoghi e nelle mete turistiche. L’obbligo di chiusura riguarda anche i grandi centri commerciali; saranno gli enti locali a stabilire le nuove regole, sempre però con un tetto di otto domeniche l’anno di aperture, quattro delle quali a dicembre. Prima firmataria, la leghista Barbara Saltamartini, ex Forza Italia, che esulta: “Cambiamo rotta per non penalizzare più i piccoli commercianti e le botteghe storiche e ridare ai lavoratori e alle famiglie la libertà della domenica. Dalle parole ai fatti! Questo è il #Governodelcambiamento”.
Il provvedimento strizza l’occhio ai sindacati – la liberalizzazione non prevedeva affatto l’obbligo di restare aperti ma lascia per i piccoli esercizi, storici o meno, e quelli periferici la libertà fare come vogliono – ma potrebbe rivelarsi un boomerang per circa 400 mila addetti al commercio. “Si restituisce ai cittadini e alle famiglie una dimensione socio-economica a misura d’uomo, riscoprendo il gusto e il valore della domenica e delle festività”, dice la leghista Giorgia Andreuzza. Il governo spiega alle famiglie come passare la domenica: grande cambiamento. Tutto ciò mentre continua la crisi degli acquisti e la grande concorrenza dell’e-commerce. Ma anche qui sono pronte le contromisure: Di Maio ha ipotizzato una norma che “non impedisca gli acquisti su internet” (grazie) “ma come per le banche li finalizzi il lunedì successivo”. “Non esiste il diritto allo shopping”, dice la segretaria Cisl Annamaria Furlan. Però esiste(va) la libertà di farlo.