Il frutto più amaro di Lehman
La crisi ha strozzato una generazione e la natalità. Bernanke aveva ragione
Il 4 giugno 2008, tre mesi prima del fallimento di Lehman Brothers, Ben Bernanke, da presidente della Federal Reserve, rassicurava gli specializzandi di Harvard. Diceva loro che sarebbero stati meglio di lui trent’anni prima. Ma poi ha aggiunto una postilla rilevante: “La scarsa capacità di previsione degli economisti è leggendaria, ma io faccio una previsione di cui sono particolarmente convinto: in qualsiasi modo immaginiate il mondo e la vostra vita tra dieci, venti o trent’anni da ora, la realtà sarà molto diversa”. Da economista appassionato della Grande depressione, il banchiere centrale ha azzeccato almeno la postilla.
In dieci anni il mondo è cambiato parecchio: la doppia recessione post Lehman ha generato sfiducia nella globalizzazione, ascesa dei populismi, Donald Trump e la Brexit; almeno secondo osservatori come Philip Stephens, editorialista del Financial Times. Però le nuove generazioni non stanno meglio come sperava Bernanke. La crisi ha portato via dei figli, giovani e soprattutto neonati. L’impatto grave è stato sulla generazione nata negli anni Ottanta, che ha avuto un calo della ricchezza personale più severo di quanto ci si poteva aspettare basandosi sulle esperienze delle generazioni precedenti alla stessa età. Kenneth Johnson, demografo dell’Università del New Hampshire, ha poi scoperto che il numero di nascite negli Stati Uniti è stato “molto più basso” di quanto si prevedesse prima della Grande recessione, e il numero di gravidanze è diminuito in modo drastico. A causa dell’incertezza sulla condizione economica personale, la generazione degli studenti di Harvard che ascoltava l’ex compagno diventato importante ha ritardato il tempo della genitorialità. È questo il frutto più amaro maturato dopo Lehman Brothers.