Cosa ci fa Di Maio in Cina
Il viaggio del ministro per rafforzare gli investimenti italiani in oriente. Ma le contraddizioni della politica estera del governo gialloverde sollevano dubbi
Il viaggio in Cina del ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, è un altro segnale che conferma come l’attenzione del governo sia rivolta ai mercati d’oriente. Nel corso della sua prima tappa della missione in Cina, Di Maio ha incontrato a Chengdu il segretario del partito della provincia del Sichuan, Peng Qinghua, con il quale ha sottoscritto degli accordi istituzionali bilaterali. “Sono onorato di presenziare domani all'apertura della 17esima edizione della Western China International Fair e di inaugurare il Padiglione Italia – ha dichiarato il ministro in una nota – che vedrà la presenza di oltre 50 imprese italiane che sapranno onorare questo prestigioso riconoscimento grazie all'affidabilità del made in Italy e alla capacità dei nostri imprenditori”.
La visita di Di Maio era stata organizzata a fine agosto, quando il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, si trovava in missione in Cina, e sostenuta dal sottosegretario Michele Geraci, considerato il principale sponsor dello spostamento verso oriente del business italiano. In un articolo pubblicato sul Blog delle stelle a giugno, Geraci scriveva che la Cina potrebbe essere prima di tutto l’antidoto all’allentamento del Qe da parte della Bce: “L’Italia dovrà cercare altri acquirenti del proprio debito, acquirenti che abbiano abbondanza di liquidità, interesse strategico a forgiare rapporti con l’Italia e che siano alla ricerca di investimenti con rendimenti più elevati di quelli offerti da America e Germania. La Cina possiede tremila miliardi di dollari equivalente in riserve valutarie, in passato investite in modo non del tutto ottimale”. Da Pechino potrebbe quindi arrivare la soluzione a debito e spread.
Così, sempre ad agosto, Geraci ha costituito presso il Mise una “Task Force Cina” che si propone “di potenziare i rapporti fra Cina e Italia in materia di commercio, finanza, investimenti, cooperazione in paesi terzi, ricerca e sviluppo", con lo scopo di rendere l'Italia "un partner privilegiato e leader in Europa in progetti strategici" con la Cina.
Lo sforzo del governo gialloverde di potenziare gli investimenti italiani in Cina ha comunque attirato alcune critiche. Prima fra tutti quella che riguarda la difficile conciliazione tra i nuovi piani di investimenti italiani in Cina e il mantenimento della nostra storica alleanza con gli Stati Uniti. Quando si era recato in visita alla Casa Bianca lo scorso luglio, il premier Giuseppe Conte aveva garantito a Donald Trump il suo pieno sostegno a Washington. Ci si interroga allora sulla coerenza del governo italiano in politica estera, che oscilla tra occidente e oriente. Una questione molto delicata soprattutto in tempi di guerre commerciali, come quella in corso tra Cina e Stati Uniti, in cui la scelta degli alleati con cui schierarsi è cruciale.