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Corte dei Conti e Istat mettono in guardia dai numeri del governo

Redazione

In corso le audizioni sulla manovra. Franzini spiega perché una crescita dell'1,2 per cento è improbabile mentre Buscema avverte: "Centrale ridurre la pressione fiscale e contributiva"

L'Istat evidenzia un altro segnale di rallentamento dell'economia italiana: dopo la stagnazione nel terzo trimestre del pil, fotografata il 7 novembre, frena anche la produzione industriale a settembre rispetto al mese precedente. “A settembre 2018 si stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisca dello 0,2 per cento rispetto ad agosto”, si legge nella nota dell'Istituto di statistica. “Anche nella media del terzo trimestre il livello della produzione registra una flessione dello 0,2 per cento rispetto ai tre mesi precedenti”. Su base annua, invece, l’indice torna a crescere dopo due mesi: “Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 20 contro i 21 di settembre 2017, ndr), a settembre 2018 l’indice è aumentato in termini tendenziali dell’1,3 per cento. Nella media dei primi nove mesi dell’anno la produzione è cresciuta dell’1,7 per cento rispetto all’anno precedente”.

 

L'Istat smonta la manovra

“Per raggiungere una crescita del pil dell'1,2 per cento”, l'ottimistico dato indicato nel NaDef, “in termini meccanici, sarebbe necessaria una variazione congiunturale del pil pari al +0,4 per cento nel quarto trimestre dell'anno in corso”. Considerando che nello scorso trimestre il pil è rimasto fermo, la variazione sembra all'Istat un tantino ottimistica. 

In audizione sulla manovra di fronte alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, il presidente dell’Istat, Maurizio Franzini spiega che ci muoviamo “in un mutato scenario economico che potrebbe influire sui saldi di finanza pubblica, in modo marginale per il 2018 ma in misura più tangibile per gli anni successivi”. Nel terzo trimestre l’economia ha registrato una “battuta d’arresto, dopo 14 trimestri di crescita”, ha ricordato Franzini. Sarebbe necessaria una variazione congiunturale del pil dello 0,4 per cento nel quarto trimestre per raggiungere gli obiettivi di crescita della Nadef per il 2018 (il famoso 1,2 per cento preventivato dal governo gialloverde). Possibile sulla carta, certo, ma a oggi improbabile: l’Istat rileva che l’indicatore anticipatore “prelude alla persistenza di una fase di debolezza del ciclo economico”. E questo crea parecchi dubbi sulla possibilità che il governo mantenga l’1,5 per cento come obiettivo di crescita per il 2019. Secondo diverse fonti, in queste ore il ministro dell’Economia Giovanni Tria starebbe valutando una revisione delle stime da inserire nella replica alle osservazioni della Commissione sulla manovra attesa per domani. Ipotesi smentita dal ministro dello Sviluppo economico, il leader grillino Luigi Di Maio: “Noi crediamo nella crescita che abbiamo individuato, quindi la nostra manovra di bilancio resta fedele agli obiettivi che si è data. È chiaro che non possiamo rispondere degli obiettivi della manovra fatta l'anno scorso dagli altri. Se si parla dell'ultimo trimestre si parla ancora degli effetti della legge di bilancio precedente”, dice il vicepremier in merito alle osservazioni dell'Istituto.

 

Il recente andamento della produzione industriale desta preoccupazione in quanto accredita l'ipotesi che, dopo la crescita zero del pil nel terzo trimestre, si delinei una recessione che sarebbe particolarmente grave perché il sistema economico italiano è ancora molto lontano dai livelli ante-crisi, rileva il Centro Studi Promotor secondo cui il paese è avviato verso la recessione. Secondo Gian Primo Quagliano, presidente Promotor, molti indicatori – tra i quali l'andamento del clima di fiducia delle imprese che è in calo anche in ottobre e l'indicatore anticipatore del ciclo economico determinato dall'Istat che è in costante peggioramento dagli ultimi mesi del 2017 – accreditano l'ipotesi che nel trimestre in corso del 2018 il pil trimestrale sia in calo. 

   

Aggravio delle imposte per un terzo delle imprese

L'Istat poi segnala anche l'impennata del peso fiscale sulle imprese proprio con le misure previste in manovra. Nel complesso i provvedimenti fiscali generano una riduzione del debito di imposta Ires per il 7 per cento delle imprese, mentre per più di un terzo tale debito risulta in aumento. L'aggravio medio è pari al 2,1 per cento: l'introduzione della mini-Ires (-1,7 per cento) non compensa gli effetti dell'abrogazione dell'Ace (+2,3 per cento) e della mancata proroga del maxi-ammortamento (+1,5 per cento), rileva l'Istat, secondo il quale l'effetto complessivo è legato alla maggiore selettività della mini-Ires rispetto all'Ace e al maxi-ammortamento. Il beneficio dovuto alla detassazione prevista dalla mini-Ires riguarderebbe, infatti, una platea più ristretta di imprese.

   

La simulazione sull'impatto del reddito di cittadinanza

L'Istat ha analizzato alcune delle misure principali che entreranno in manovra, tra cui il reddito di cittadinanza che di fatto avrà un effetto davvero limitato sulla crescita: “Sotto l'ipotesi che il reddito di cittadinanza corrisponda a un aumento dei trasferimenti pubblici pari a circa 9 miliardi, secondo le simulazioni effettuate il pil registrerebbe un aumento dello 0,2 per cento rispetto allo scenario base”, mentre “questa reattività potrebbe essere più elevata, e pari allo 0,3 per cento, nel caso in cui si consideri l'impatto del reddito di cittadinanza come uno shock diretto sui consumi delle famiglie”. 

   

Corte dei conti: la manovra concentra risorse su pochi interventi e non affronta i nodi irrisolti

Intanto la Corte dei conti, nella stessa sede, illustra i propri calcoli: la “polarizzazione” degli investimenti su alcune misure si “traduce in una carenza di risorse per affrontare nodi irrisolti” e avverte sulla possibilità che il “ricorso a nuove strutture organizzative da avviare” e “la necessità di ridisegnare il funzionamento dei nuovi strumenti” può incidere “non solo sul costo” ma “anche sui tempi di avvio, e, in definitiva, sulla efficacia degli interventi”. In altre parole, insomma, la manovra “sceglie di concentrare le risorse su limitati interventi”. È questa la “polarizzazione” di cui si parla e che si “traduce in una carenza di risorse” per “garantire un adeguato livello di servizi in comparti essenziali per la collettività”, come ha sottolineato il presidente della Corte dei conti, Angelo Buscema: l'obiettivo di crescita dell'1,5 per cento – spiega Buscema – per il 2019 “richiederebbe una ripartenza particolarmente vivace e una ripresa duratura” dato che la stima preliminare del pil per il terzo trimestre segna “una stagnazione” e “l'effetto contabile di trascinamento sul 2019 potrebbe essere a fine anno molto modesto”. E avverte che resta “centrale l'obiettivo di ridurre la pressione fiscale e contributiva” sia “per le famiglie che per le imprese e la competitività del sistema produttivo nel suo insieme, compreso il settore finanziario e creditizio che tanta parte gioca nel sostegno delle pmi”.

     

La crisi torna in bottega

Tra gennaio e settembre di quest'anno i negozi italiani hanno registrato quasi 900 milioni di euro di vendite in meno rispetto al 2017, la flessione peggiore da cinque anni a questa parte. Un crollo che ha accelerato la mortalità delle imprese: nei primi nove mesi del 2018 stimiamo che abbiano abbassato la saracinesca circa 20mila negozi indipendenti. È quanto emerge da un'analisi condotta da Confesercenti sulla base di dati Istat. La flessione registrata dai negozi nei primi tre trimestri dell'anno (-2 per cento dei prodotti non alimentari), rileva Confesercenti, è infatti la più forte dal -2,9 per cento del 2013, all'apice della recessione dei consumi che ha colpito il nostro paese nel triennio 2012-2014. E la frenata non riguarda solo i negozi indipendenti. Anche la grande distribuzione organizzata, infatti, mostra segnali di sofferenza: tra gennaio e settembre le vendite sono cresciute appena dello 0,2 per cento, in forte arretramento rispetto al +2 per cento segnato lo scorso anno.

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