Soccorso Tim in Sole 24 Ore
Sul giornale degli industriali si invita lo stato a svenarsi per Telecom
Sul Sole 24 Ore spicca l’appello “Salvate la Tim, servono soci italiani al 30 per cento” di sette ex manager di Telecom Italia che dichiarano “il privilegio di essere i Pascale boys”. Cioè di Ernesto Pascale che in 40 anni salì tutti i gradini dell’allora holding Stet fino a divenirne l’ad ed essere cacciato nel 1997 con la privatizzazione a opera del governo di Romano Prodi: a sua volta ex presidente dell’Iri, controllante di Stet. Nell’appello c’è l’eco delle vecchie Partecipazioni statali: storia di luci (specie proprio nella telefonia) e parecchie ombre. Molti errori e moltissimi debiti. Si chiede il ritorno alla Tim tricolore, certo non ignorando che gli unici capitali italiani che vi ronzano intorno sono quelli pubblici di Cassa depositi e prestiti (ha il 4,2 di Tim e il 50 per cento di Open Fiber) ed Enel, cointestataria della neonata società per la rete ottica. Sotto l’egida del governo Open Fiber dovrebbe fondersi con la rete Tim, otto volte più estesa, ottenendo incentivi agli investimenti e ai dipendenti (essenzialmente i 60 mila di Tim di cui 30 mila in esubero), pagati dalle tariffe finali ai privati. I firmatari scrivono che una rete di tlc nazionale è strategica citando esempi stranieri, tesi che ha i suoi supporter; ma poi vanno oltre chiedendo che essa non sia depauperata dei servizi. Il che non trova riscontro altrove. Orange, Deutsche Telekom e British Telecom tutte con quota pubblica, intendono proprio privatizzare i servizi sia perché le casse pubbliche non possono permetterselo sia per favorire la concorrenza: la quale si imporrebbe lo stesso vista la forza dei colossi multimediali, da Netflix in giù. Per l’Italia poi è impossibile trascurare due cose. La rete, per scelta del governo D’Alema che non oppose la golden share alla scalata di Roberto Colaninno, è rimasta ai privati. I nostri industriali si sono rivelati inadatti a gestire la telefonia, benché vi si sia cimentato tutto il loro gotha. Nel 2014 gli ultimi cedettero a Vivendi che si prese un debito pari oggi a 25 miliardi. Storia nota ai firmatari e al quotidiano di Confindustria. Per riportare le lancette indietro bisognerebbe espropriare i francesi, rimborsare il debito, mantenere i dipendenti, ignorare la concorrenza. I meriti passati non si discutono, ma chi paga?