Previsioni da decrescita
La recessione non è lontana e per evitarla non basta giocare con gli zero virgola
Se perfino Arturo Artom, autodefinitosi imprenditore vicino a Davide Casaleggio nonché presidente (ma la questione è incerta) di Confapri, che sta per “Conferenza permanente di esperti delle attività produttive per un rinascimento italiano”, il think tank che doveva avvicinare i Cinque stelle al tessuto produttivo del nord, vede nero sul pil, il 2019 rischia davvero di essere l’anno della recessione, non della stagnazione. Artom stima che il trimestre in corso si chiuda a meno 0,4 per cento, dopo lo 0,1 del precedente, il che trascinerebbe il segno negativo per buona parte dell’anno prossimo. Magari lui cavalca l’onda o ha di nuovo cambiato cavallo. Chi di sicuro non può farlo è Giovanni Tria. Martedì il ministro dell’Economia ha dichiarato: “Speriamo di non andare in recessione”, speranza che contrasta molto con la certezza di crescita dell’1,5 per cento fin qui promessa dal governo per giustificare le misure “del cambiamento” figlie della campagna elettorale. Ma nessuno, a livello internazionale, vi ha mai creduto. Da quando la stima è stata messa nero su bianco il 28 settembre, con Luigi Di Maio a festeggiare il deficit sul balcone di Palazzo Chigi, non c’è stata istituzione, banca, centro studi che non l’abbia rivista sistematicamente al ribasso. L’odiata Commissione di Bruxelles è la più benevola con l’1,2 per cento.
Le agenzie di rating Moody’s e Standard & Poor’s prevedono l’1,1. La Banca d’Italia l’1 per cento. L’Ocse e la Confindustria lo 0,9. Di recente Goldman Sachs ha pubblicato una nota che immagina una “nuvola nera” per l’Italia e stima lo 0,4 per cento. I gialloverdi, as usual, danno la colpa alle “eredità dei governi precedenti”; però nel 2017 la crescita è stata dell’1,6, un decimale più del previsto. C’è un altro aspetto della corsa al ribasso delle stime, ed è la capacità di autoinfluenzarsi, come avviene in modo matematico per gli indici di fiducia di imprese e consumatori. Se il governo non fa subito qualcosa di serio (cioè se non cambia manovra) nel 2019 questa tendenza produrrà un’altra fuga di capitali e investimenti e inciderà sulle revisioni di rating, al momento previste a inizio estate. L’autunno scorso i Btp hanno scampato la retrocessione a junk bond: il declassamento è prossimo.